Camere, intesa vicina tra la Legae i grillini. FI: «Noi non ci stiamo»

Camere, intesa vicina tra la Legae i grillini. FI: «Noi non ci stiamo»
di Marco Conti
Domenica 11 Marzo 2018, 09:25 - Ultimo agg. 17:58
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Le presidenze delle Camere si avviano ad essere appannaggio dei vincitori. Matteo Salvini è convinto debba finire così e la trattativa della Lega con il M5S è a buon punto e vede in pole position Danilo Toninelli per il Senato e Giancarlo Giorgetti per la Camera. Esclusi, per scelta, il Pd mentre ai margini è FI. I Dem ufficializzeranno nella direzione di domani del partito la loro scelta di tirarsi fuori da ogni trattativa. Il ragionamento, che mette insieme tutte le anime del Pd, è sostanzialmente questo: noi abbiamo perso, mentre il centrodestra è la prima coalizione e i 5S il primo partito, tocca a loro trovare una soluzione di governo del Paese.

Logico quindi, sempre secondo i Dem, restare fuori anche dalla scelta di chi dovrà presiedere le Camere. Anzi, secondo i Dem, l'eventuale intesa Lega-M5S può aprire la strada anche a larghe intese in salsa populista. FI storce il naso e contesta la trattativa avviata dall'alleato. Berlusconi non ha ancora smaltito l'onta del sorpasso leghista. Il muro alzato dal Pd nei confronti del M5S tranquillizza il Cavaliere, ma il movimentismo salviniano non lo lascia dormire sereno.

LA SCIAGURA
L'obiettivo di Berlusconi resta il governo a guida centrodestra ma è consapevole delle difficoltà che incontra il nome di Salvini sia nella caccia di possibili alleati, sia al Quirinale. L'ex premier considera una sciagura i grillini al governo e mercoledì riunirà a Roma i gruppi azzurri anche per procedere all'elezione dei capigruppo. Salvini e Di Maio restano fermi sulle proprie posizioni e in buona sostanza ribadiscono che senza il loro nome nella casella di palazzo Chigi non si può fare un governo. Affermazioni che stridono molto con l'appello alla responsabilità lanciato tre giorni fa dal presidente della Repubblica. Il Capo dello Stato ha invitato le forze politiche a contribuire alla soluzione della crisi prendendo atto che nessuno ha da solo la forza per comporre una maggioranza. Ciò significa essere pronti a mettere in discussione candidature a premier, nomi di ministri e programmi. Di Maio - già artefice della virata moderata del M5S - sembra disposto a discutere del programma e subito anche del Def.

Non molla però sul suo nome per palazzo Chigi e ciò rende complicato il dialogo anche con quella parte della sinistra, una parte del Pd e di LeU, che vorrebbe aprire una trattativa anche per dare una mano al Capo dello Stato. Mentre Di Maio si fa concavo e convesso - al punto che Grillo gli ricorda cosa significa reddito di cittadinanza - il leader del Carroccio fa di tutto per risultare particolarmente indigesto agli alleati, al Pd e forse anche al Quirinale. Salvini continua a sparare sulla moneta unica, promette una manovra contraria all'Europa se sarà al governo, posta su facebook una foto da indiano e attacca il reddito di cittadinanza solo per marcare la distanza dal competitor grillino con il quale tratta per le presidenze delle camere. Ad una settimana esatta dal voto, il clima da campagna elettorale si è affievolito solo in parte. Il Pd va sull'Aventino mentre i due vincitori delle elezioni, Lega e 5S, procedono di conserva nel loro parallelo ma comune obiettivo di svuotare rispettivamente FI e Pd. L'intesa sulle presidenze delle Camere tra leghisti e grillini è funzionale a questo scopo, ma non è detto che - come spera il Pd - possa dare vita ad un governo visto che le due forze puntano a presentarsi come l'unico bipolarismo della terza Repubblica pronti a festeggiare con «pop corn» eventuali elezioni a breve. Pronosticare elezioni ad ottobre ad una settimana dal voto, è però azzardato e non tiene conto della possibile reazioni dei mercati che sicuramente reagirebbero, qualora venisse certificata l'impossibilità di dare un governo al Paese.

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