Cantone: «Dalla corruzione
la fuga dei cervelli»

Cantone: «Dalla corruzione la fuga dei cervelli»
di Marilicia Salvia
Sabato 24 Settembre 2016, 08:11 - Ultimo agg. 08:23
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«C'è un collegamento stretto, enorme, tra fuga di cervelli e corruzione», un collegamento che trova alimento «dentro le università», al punto che l'Anac proverà a creare «linee guida ad hoc» con l'obiettivo «non di burocratizzare, ma di provare a consentire l'esercizio della discrezionalità, in una logica in cui la discrezionalità non diventi arbitrio». Raffaele Cantone, presidente dell'Autorità anticorruzione, interviene a Firenze al convegno nazionale dei responsabili amministrativi degli Atenei e tocca un nervo terribilmente sensibile del sistema accademico italiano. Non parla per sentito dire, Cantone, né gli interessa esprimere giudizi sul merito della riforma Gelmini, che una decina d'anni fa nacque appunto con l'intento di spazzare via parentopoli e baronìe: il fatto è che l'Anac - spiega il magistrato - è «subissata di segnalazioni su questioni universitarie, soprattutto segnalazioni sui concorsi», e questo fa supporre che «un certo grado di opacità» continui a resistere, in un ambiente il cui destino dovrebbe stare a cuore a tutti «perché - sottolinea Cantone - l'università è il nostro futuro».

Concorsi pilotati? Cattedre assegnate a chi non ne ha diritto? Meritevoli scavalcati dai soliti raccomandati? Tutto questo Cantone non lo sa «perché non tocca a noi indagare sulle denunce, noi ci limitiamo a girare gli incartamenti all'autorità giudiziaria». Ma in un Paese che ha per lungo tempo accettato la coesistenza nella stessa facoltà di sei o sette docenti con lo stesso cognome, fa capire, abbassare la guardia non è mai un bene. L'ex ministro Maria Stella Gelmini gli risponde a stretto giro, dicendosi «stupita» dalle parole di Cantone e sottolineando che «aver previsto commissioni giudicanti esterne, valutazione da parte degli studenti e valutazione delle produzioni scientifiche da parte del nucleo di valutazione d'ateneo e Anvur» ha «scardinato i vecchi concorsi vinti in tanti casi da parenti e amici a discapito di giovani figli di nessuno ma preparati».

Insomma, secondo l'ex ministro il traguardo della meritocrazia è stato tagliato. Il presidente dell'Anac, raggiunto al telefono sulla via del ritorno da Firenze, assicura che non è sua intenzione fare il «processo» alla riforma. «Non ho la struttura né la competenza per questo. Io dico solo che tante denunce mi fanno pensare che ci sia ancora poca trasparenza. Poi chissà, magari chi si prende la briga di scriverci è animato dall'invidia, dal rancore per non aver ottenuto quello che sperava di avere. Non si può fare di tutta l'erba un fascio. Ma a me - spiega ancora Cantone - sembra che negli ambienti universitari ci sia molto malessere. E il malessere danneggia tutta l'istituzione. In un sistema dominato dal sospetto, se non dalla corruzione conclamata, la cosiddetta fuga di cervelli è inevitabile. I migliori se ne andranno all'estero. E dall'estero non arriverà nessuno al loro posto, perché è chiaro che un'università caratterizzata da cattiva fama non potrà avere forza attrattiva».

Cattiva fama, scarsa interazione con i colleghi degli altri atenei d'Europa e del mondo, meritocrazia declinata in modo approssimativo: il rettore della Federico II Gaetano Manfredi è anche presidente della Crui, la Conferenza dei rettori italiani, e con questi problemi ha grande dimestichezza. Nell'intento, ovviamente, di superarli. «Il tema della meritocrazia - spiega Manfredi - è centrale, tanto più che le Università ricevono le risorse in base a una valutazione premiale nella quale la qualità dei concorsi è un parametro importante». In quest'ottica, adoperarsi per far vincere il peggiore sarebbe un suicidio, significherebbe far precipitare l'Ateneo che si prestasse a una cosa del genere in coda alle classifiche. L'allarme di Cantone, allora, non coglie nel segno? «Diciamo che gli anticorpi alla corruzione stanno in un certo senso dentro il sistema, il che tuttavia non ci mette automaticamente al riparo da storture. E se queste ci sono, è bene che vengano segnalate anche alle Università, che in tal modo potranno intervenire». Manfredi utilizza non a caso il termine suggerito dal presidente Anac per definire lo stato d'animo diffuso negli Atenei italiani: «Sì, c'è molto malessere. Veniamo da anni di ristrettezze, di tagli radicali alle risorse, caratterizzati da pochi concorsi e con tante aspettative a cui non si è dato risposta». Anche questa occasione è buona allora per ribadire che servono più fondi, e occorre dare un'opportunità a chi la merita: «Specialmente al Sud, dove per i migliori l'Università è una delle poche possibilità di ricoprire posizioni di prestigio, se si cancella il merito frenare la fuga di cervelli diventerà impossibile».

Ma chi valuta il merito? Chi decide, nelle Università italiane, chi può fare carriera e chi no? Manfredi assicura che rispetto al passato la trasparenza ha fatto passi da gigante. «Ma i parametri - sottolinea - sono un limite. All'estero il reclutamento avviene per chiamata diretta, qui impera la burocrazia. Si è cercato di sostituire l'etica con norme molto dettagliate; al contrario, andrebbe responsabilizzato chi decide». Ossia il rettore. «Sì, ovviamente affidando a un organismo terzo il compito di verificare i risultati e di punire chi ne porta di negativi».

Con il sistema attuale «siamo in una gabbia d'acciaio, l'arbitrio totale del pre-riforma è stato cancellato ma in compenso la qualità della competitors si è abbassata», rincara la dose il sociologo Luca Ricolfi. «Per limitare i margini di discrezionalità sono state introdotte regole meccaniche di calcolo di punteggio, per cui chi ha fatto grandi pubblicazioni conta meno di chi ha due figli, tanto per dirne una». Non solo: «Chi pubblica su riviste ha più punti di chi scrive libri; la pubblicazione in inglese vale di più, qualsiasi sia l'argomento, e così via. Il risultato è che i ricercatori non si concentrano su quanto è di loro interesse, ma su quel che serve ad avanzare in graduatoria. Le regole, certo, sono uguali per tutti ma così la ricerca arretra». O, meglio, va avanti quella degli altri Paesi: «Chiaro, anche perché i nostri migliori, quelli bravi, se ne vanno là».

Più potere a rettori e presidi è anche la ricetta di Roger Abravanel, autore di saggi sul valore della meritocrazia: «La persona migliore è quella che viene scelta da chi sta sul terreno», assicura, sottolineando che se tante lettere arrivano all'Anac, allora «un problema di trasparenza esiste». D'altra parte, le Università italiane stentano ancora troppo a farsi largo nelle classifiche mondiali. «Questa è una questione seria. Troppi studenti italiani rinunciano a iscriversi all'Università, perché non abbastanza ricchi e perché convinti che non troveranno lavoro. In Italia gli atenei non hanno appeal, a parte qualche eccezione: abbiamo sempre meno laureati, per un Paese moderno è un dato drammatico». Come se ne esce? «Abolendo i test d'ingresso e introducendo i test Invalsi alle scuole superiori, alla maturità. Ne ho parlato con Renzi e la mia proposta è stata inserita nella legge delega per la riforma scolastica, spero vada avanti. La selezione seria, meritocratica, si fa così. Con un ulteriore doppio vantaggio: si eleva il livello dell'offerta universitaria, perché è ovvio che i migliori scelgono le università migliori; e le borse di studio possono avere destinazione corretta, mentre adesso vanno ai furbetti che truccano l'Isee».