Secondo il Piano Nazionale Prevenzione 2014-18 del Ministero della Salute, entro il 2018 tutte le regioni avrebbero dovuto prevedere il Test Hpv come screening primario per donne tra 30 e 64 anni. Ma secondo i dati dell'Osservatorio Nazionale Screening (ONS), a fine 2017 lo avevano fatto solo Emilia Romagna, Piemonte, Veneto, Toscana, Umbria e Basilicata. «Sono a buon punto - spiega Marco Zappa, presidente dell'Ons - Abruzzo, Valle d'Aosta, Campania, Lazio, Liguria, Lombardia, Molise e Trento. Hanno appena iniziato il percorso Sicilia e Calabria, mentre non sono partite Friuli, Marche, Puglia, Sardegna e Bolzano». E aggiunge: «Entro il 2020 l'Italia dovrebbe essere a regime. Siamo tra i Paesi più avanti al mondo, e, tra quelli europei, solo l'Olanda è al nostro livello». Questo non significa che il Pap test debba andare in pensione. «È invece l'esame successivo, che viene fatto qualora si riscontri una positività al Test Hpv», precisa Basilio Passamonti, presidente del Gruppo Italiano Screening del Cervicocarcinoma (Gisci). In Italia, spiega, «i due test sono integrati e rappresentano il massimo di garanzia possibile: l'HPV Test, che è più sensibile, individua le donne con infezione in corso (che può anche risolversi da sola), mentre il Pap test, che è più specifico, in uno step successivo individua l'eventuale lesione dovuta alla modificazione cellulare causata dal virus e che può spianare la strada al cancro al collo dell'utero».
A confermare la validità dell'approccio italiano è una nuova revisione di otto studi clinici e quattro studi di coorte.
Condotta da ricercatori dell'Università della California a Davis, ha rilevato che, mentre i Pap test sono ancora molto efficaci per rilevare le cellule precancerose, il test HPV è un eccellente strumento di screening. I risultati, pubblicati sul Journal of American Medical Association (JAMA), sono stati utilizzati dalla Task Force dei Servizi Preventivi degli Stati Uniti, per aggiornare le raccomandazioni sullo screening del cancro cervicale.