Francesca, secondo miracolo. 18 mesi dopo il drammatico incidente torna a camminare

Francesca, secondo miracolo. 18 mesi dopo il drammatico incidente torna a camminare
di Marisa La Penna
Sabato 25 Ottobre 2014, 23:20 - Ultimo agg. 26 Ottobre, 17:13
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Francesca, Carmela, Salvatore e Vincenzo. Quattro bambini, quattro storie con un comune denominatore: il ritorno alla vita dopo il profondo, nero baratro del coma.



Forse Francesca e i suoi tre compagni di ospedale non avranno mai un’esistenza completamente normale, ma la loro qualità della vita sarà decisamente migliore di quella che un crudele destino aveva invece riservato loro. Francesca, Carmela, Salvatore e Vincenzo. Cinque anni la più piccina, nove il più grande.



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Vicende drammaticamente diverse, unite ora da un percorso di recupero, nelle due stanze dell’Unità operativa riabilitativa dell’ospedale dell’Annunziata. Quattro bambini sfortunati affidati alle mani esperte ed amorevoli di Maurizio Nespoli, fisiatra pediatrico, responsabile del progetto Netcrip per la riabilitazione dei piccoli ospiti in un reparto all’avanguardia, fortemente voluto dal direttore generale dell’azienda ospedaliera Santobono-Annunziata-Pausillipon, Annamaria Minicucci.



Un reparto che si avvale di attrezzature all’avanguardia, forse uniche sul fronte della pediatria. A cominciare dal robot ”Lokomat” che insegna a camminare - costo oltre trecentomila euro - un macchinario collegato a un grande schermo su cui vengono proiettati videogiochi nei quali il piccolo paziente diventa protagonista. Una sorta di avatar che aiuta il bambino a identificarsi nel personaggio del filmato.



Ma chi sono questi ospiti del reparto al terzo piano del monumentale edificio ospedaliero del centro storico, famoso nel mondo per la ”ruota degli Esposti” dove nei secoli scorsi molte madri abbandonarono i loro neonati? Partiamo da Francesca, la piccola superstite del disastro del bus caduto giù un anno e mezzo fa dal cavalcavia sull’autostrada per Avellino.



Francesca è la dimostrazione dello straordinario lavoro dapprima dei medici del Santobono ed oggi dei dottori dell’Annuzniata. Quella terribile notte del 27 luglio del 2013 la piccina arrivò al pronto soccorso in condizioni disperate, insieme con altri quattro bambini in «codice rosso». Gli altri non ce la fecero.



Lei rimase molti mesi attaccata a un respiratore della rianimazione dell’ospedale pediatrico. Nessuno avrebbe scommesso un centesimo sulla sua sopravvivenza. Invece la bimba sta tornando a una vita normale. Grazie all’impegno senza sosta dei medici della struttura di recupero. La piccina, lentamente - dopo i danni cerebrali che sembravano irreversibili e che pareva dovessero condannarla, in caso di sopravvivenza, a una vita da vegetale - ha ripreso addirittura a camminare dopo mesi e mesi di terapie ininterrotte.



La scorsa estate, nel corso di una cerimonia al Santobono, nel ”palagioco” della struttura sanitaria vomerese, Francesca si è mostrata sorridente tra le braccia della mamma, facendosi riprendere dai fotoreporter accorsi per l’occasione.



Ed è stato il miglior testimonial del lavoro dei dottori che si potesse mai ”esibire” per dimostrare il «miracolo» dell’ospedale pediatrico. A Carmela invece la stampa non ha dedicato spazio. La sua tragedia - agghiacciante - è passata inspiegabilmente inosservata ai media. La raccontiamo ora, quattro mesi dopo.



Carmela, cinque anni, era stata affidata dai genitori agli organizzatori di un campo estivo che avevano scelto, come meta per far divertire i piccoli ospiti, un parco acquatico. Ebbene in una di quelle piscine la piccola Carmela era finita sott’acqua. Nessuno se ne era accorto. Nessuno degli animatori che avevano la responsabilità di quei bambini aveva notato quello che stava acacdendo.



E così quando l’hanno ”ripescata”, la povera Carmela era priva di sensi, il suo cuore aveva cessato di battere. L’hanno rianimata. E con un’ambulanza trasferita di corsa al Santobono. Ma in ospedale era giunta con un cervello fortemente compromesso. Qualche giorno fa Carmela - un dolce visino sotto una chioma bionda - è finalmente uscita dalla rianimazione. Gli occhi guardano nel vuoto, le sua braccia, le sue gambe anchilosate dai mesi di degenza sono irrigidite, rattrappite, senza vita. Ora è nel reparto del dottor Luigi Fossa, amorevolmente seguita dal dottor Nespoli e dai suoi collaboratori.



Carmela non tornerà mai a una vita normale. I danni cerebrali sono gravissimi. Ma la sua esistenza sarà meno dolorosa con gli interventi a cui verrà sottoposta.



«Dopo ventiquattr’ore di degenza ha già fatto un miglioramento, sia pure impercettibile, alle dita delle mani» dice felice il dottor Nespoli. E la mamma di Carmela sorride gioiosa per il piccolo progresso della sfortunata figlia, dimenticando per un solo momento la tragedia più grande.



Salvatore e Vincenzo, entrambi tatraplegigi. Entrambi nati prematuri e con una grave emorragia cerebrale. Entrambi con una vivace intelligenza, sorridenti, comunicativi, «guardati a vista» dalle rispettive giovani mamme. Sei anni il primo, nove il secondo. Entrambi su una sedia a rotelle. Sono quelli che si divertono di più alla macchina avveneristica con la quale stanno imparando a fare i primi passi. Si divertono e lavorano. Giocano a questa specie di play station, si identificano con il loro avatar, evitano i pericoli virtuali, entrano nelle fantastiche storie proposte dal computer. E fanno passi da gigante nella riabilitazione.



«Per i bambini il gioco è fondamentale, indispensabile per il recupero» ammette Maurizio Nespoli che dedica tutta la sua giornata lavorativa a riportare alla vita i suoi piccoli pazienti. «Forse non riusciranno mai a camminare da soli. Ma con degli ausili, con dei tutori ce la faranno».



Non insegue il miracolo il dottor Nespoli.
Ma ai risultati di un lavoro sodo, incessante. E questi quattro piccoli ospiti stanno rispondendo alle terapie. «Ci auspichiamo che il reparto possa crescere in posti letto per dare l’opportunità ad altri bambini come Francesca, Carmela, Vincenzo e Salvatore» continua Maurizio Nespoli riferendosi ai tanti, troppi bambini che non hanno la possibilità di essere seguiti in strutture altamente specializzate che consentono, quanto meno, di rendere meno dolorosa l’esistenza di chi è portatore di gravi handicap.