Voucher, referendum a maggio
ma è in arrivo un decreto legge

Voucher, referendum a maggio ma è in arrivo un decreto legge
di Luca Cifoni
Mercoledì 15 Marzo 2017, 10:21 - Ultimo agg. 16:29
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Roma. Il prossimo 28 maggio è il giorno in cui si dovrebbe votare per i due referendum indetti dalla Cgil su buoni lavoro e responsabilità solidale negli appalti. La data è stata decisa dal governo e potrebbe coincidere, come chiedono varie forze politiche, con quella per le elezioni amministrative in una serie di Comuni. Ma naturalmente la questione più rilevante a questo punto riguarda l'effettivo svolgimento della consultazione, che l'esecutivo ha sempre la possibilità di evitare intervenendo sulle norme sottoposte alla volontà popolare, purché lo faccia nella direzione indicata dalla proposta referendaria.

Alcune indicazioni sono arrivate ieri dal ministro del Lavoro. Intervenendo a Sky Tg24 Economia Giuliano Poletti ha detto che l'esecutivo intende aspettare il lavoro del Parlamento, ma non esclude la via del decreto legge, essenzialmente per anticipare i tempi: il provvedimento governativo però dovrebbe avere come base proprio il testo che è stato messo a punto alla Camera sotto la regia dell'ex ministro Cesare Damiano. Poletti ha anche fatto una cauta apertura sul tema dell'election day, ovvero la concentrazione in un solo giorno di amministrative e referendum: «La competenza è del Consiglio dei ministri e del ministro degli Interni - ha spiegato - ma non credo di poterlo escludere». L'election day è stato chiesto a gran voce oltre che dalla Cgil dal M5S, da Fratelli d'Italia e all'interno del Pd da Michele Emiliano. Unificare le date porterebbe qualche risparmio di spesa e - richiamando gli elettori alle urne - favorirebbe il raggiungimento del quorum del 50 per cento previsto per i referendum abrogativi.

Il governo punta comunque a evitare il voto, come ha confermato lo stesso premier Gentiloni («Discuteremo e correggeremo le norme»). Sul tema dei voucher sono state ipotizzate varie soluzioni, la più drastica consiste nel limitare il loro uso ai lavoretti affidati dalle famiglie, escludendo quindi le imprese. Un assetto del genere quasi sicuramente sarebbe sufficiente ad evitare la consultazione. I vincoli all'utilizzo dei buoni lavoro sono stati via via ridotti negli ultimi anni, in particolare con i governi Monti e Letta: prima il ricorso a questo strumento è stato allargato a tutti i settori produttivi, quindi è stata rimossa la condizione di occasionalità del lavoro svolto.
Anche sul tema della responsabilità solidale negli appalti la via principale per non arrivare al voto passa per una proposta già messa a punto in Parlamento, che ripristina la disciplina del 2003. Dal punto di vista della Cgil che propone il quesito l'obiettivo è fare in modo che quando un'impresa (o un datore di lavoro) si serve di un'altra, che magari a sua volta ne utilizza altre ancora in subappalto, la prima sia responsabile anche nei confronti dei lavoratori di tutte le aziende coinvolte nel processo, per quanto riguarda il rispetto dei loro diritti. In altre parole si vuole evitare che diventi troppo facile esternalizzare alcune attività a scapito della regolarità delle retribuzioni o dei versamenti contributivi o di altre spettanze dei dipendenti.

Nel dettaglio, il sindacato guidato da Susanna Camusso propone di cancellare due periodi del comma2 dell'articolo 29 del decreto legislativo 10 settembre 2003, il quale in materia di lavoro attuava le deleghe della riforma Biagi ma sul punto specifico era stato poi modificato nel 2012. Le parti da abrogare sono proprio quelle inserite successivamente: si tratta in particolare della possibilità di derogare alla responsabilità solidale nel caso in cui i contratti di lavoro prevedano procedure diverse per verificare la regolarità complessiva degli appalti e della possibilità per il giudice, in caso di accertamento dell'obbligazione in solido dei vari soggetti coinvolti, di procedere con l'azione esecutiva prioritariamente nei confronti di appaltatore e subappaltatori, salvando quindi il committente.

Quanto alle amministrative, la prossima primavera si va al voto per l'elezione di circa mille sindaci. Non ci sono città capoluogo in Campania, mentre sopra i 50mila abitanti vanno al voto Pozzuoli, Acerra e Portici. Lungo la penisola le sfide principali riguardano quattro capoluoghi di regione: Palermo, Genova, L'Aquila e Catanzaro. Si vota anche in città popolose, tre oltre i duecentomila abitanti, Verona e Padova in Veneto, e Taranto in Puglia, mentre superano i 100mila residenti Monza in Lombardia, nonché Parma e Piacenza in Emilia.