Renzi rilancia la coalizione a sinistra, braccio di ferro sulla premiership

Matteo Renzi (ansa)
Matteo Renzi (ansa)
di Alberto Gentili
Lunedì 6 Novembre 2017, 10:18
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Mentre in Sicilia si contano ancora i voti, una cosa è già certa: la batosta subita da Micari e da Fava, la dimostrazione che marciando divisi la sconfitta è certa, spinge Matteo Renzi a rilanciare l’alleanza larga a sinistra, fino a ieri solo abbozzata.

Il problema è che Andrea Orlando, Michele Emiliano e si dice Dario Franceschini e forse anche padri nobili come Valter Veltroni e Romano Prodi, ritengono che non possa essere il segretario dem la figura adatta a unificare il centrosinistra. Renzi sarebbe troppo divisivo. Meglio, per il ruolo di federatore, uno come Paolo Gentiloni, amico fidato e leale di Renzi e dunque più difficile da rifiutare.

Il segretario del Pd non ha, al momento, però alcuna intenzione di fare un passo di lato. E’ convinto che si possa andare alle elezioni senza indicare un candidato di coalizione (il Rosatellum non è una legge maggioritaria), come del resto farà il centrodestra. Oppure, se i promessi alleati della promessa coalizione dovessero chiederglielo, è disposto a fare le primarie. Ma visto che l’epilogo dei gazebo sarebbe scontato (la vittoria di Renzi) Mdp e Sinistra italiana non sono intenzionati ad accettare la sfida, anche se avanza il nome di Piero Grasso come leader della sinistra-sinistra. La lezione siciliana ha dimostrato però anche a Bersani e D’Alema che senza alleanze il loro destino è quello di restare marginali.

Vista la situazione, Renzi si trova perciò in un vicolo cieco: andare da solo alle elezioni, con qualche piccolo alleato al centro e a sinistra, oppure accettare l’indicazione di Gentiloni o di un altro “federatore”. I numeri dei sondaggi che circolano al Nazareno dicono che unito il centrosinistra se la può battere con il centrodestra, diviso invece perde.
C’è chi scommette che la forza dei numeri e il pressing degli alleati potrebbe spingere il segretario dem al “gesto di generosità” vagheggiato da Orlando e Franceschini. Ma non adesso, questa opzione al momento non è matura. Per ora Renzi, che resta saldamente segretario del partito, ripete: «Il leader sono io, devono essere gli italiani e non dei dirigenti di partito a decretare conclusa la mia stagione politica».

Nei prossimi giorni si vedrà, tanto più che con il ritorno del proporzionale - come ai tempi della Prima Repubblica - nella prossima legislatura si comanderà e si conterà più nel ruolo di segretario, che in quello di presidente del Consiglio. Quando c’era la Dc, tranne un paio d’eccezioni, i leader stavano a piazza del Gesù, non a palazzo Chigi.
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