La sfida è a due, si allontanano le larghe intese

di Alessandro Campi
Martedì 7 Novembre 2017, 00:01 - Ultimo agg. 08:01
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Il risultato siciliano, ormai lo si è detto in tutte le salse, non prefigura in alcun modo quello delle elezioni politiche generali che si terranno nella primavera del 2018. C’è di mezzo una (lunga) campagna elettorale nel corso della quale potrebbe accadere di tutto. Senza considerare la possibile incidenza di un fattore al quale gli italiani non pensano mai: il resto del mondo. In tempi turbolenti come gli attuali non è da escludere che il voto nazionale possa esserne significativamente influenzato. 

Influenzato da una qualche congiuntura o crisi internazionale, al momento semplicemente imprevedibile. Insomma, non si possono fare previsioni sulla forza effettiva e sul valore percentuale dei singoli partiti, che saranno verosimilmente diversi in Italia rispetto a quelli che si sono registrati in Sicilia. Ma alcune linee di tendenza si possono comunque tracciare guardando ai dati emersi ieri dalle urne. 

La più significativa riguarda la competizione tra centrodestra e M5S che è stata il tratto caratterizzante della tornata amministrativa siciliana e che potrebbe diventare, in prospettiva, la contrapposizione intorno alla quale si giocherà, a livello nazionale, la partita per il primato nel prossimo Parlamento (sapendo già che a causa della legge elettorale la partita per il governo sarà una cosa probabilmente diversa).

Il centrodestra in Sicilia ha confermato di essere un’alleanza politica con molte divisioni interne, sul piano del programma e dei rapporti personali, ma in grado di compattarsi e di agire con unità d’intenti nei momenti elettoralmente decisivi. Chi immagina che alle politiche sarà complicato, o addirittura impossibile, riproporre una simile coalizione (ad esempio perché la Lega è contro l’euro mentre Forza Italia è apertamente europeista) semplicemente sbaglia: la storia ventennale di quell’area politica dice esattamente il contrario. Senza contare che le differenze odierne sembrano persino inferiori a quelle che esistevano nel 1994 o negli anni immediatamente successive tra la Lega bossiana che civettava con la secessione, il Cavaliere che emulava la Thatcher e i nazionalisti che stavano appena uscendo dal tunnel del neofascismo.

Tra l’altro sarebbe persino difficile spiegare ai propri elettori perché una formula vincente sul territorio (l’altro ieri in Liguria, ieri in Sicilia e che governa da anni in Lombardia e Veneto) non debba essere riproposta anche a livello nazionale. Viene anzi facile prevedere che una simile alleanza, quali che siano i motivi di attrito tra le diverse componenti del centrodestra, resterà unita anche all’indomani del voto per il nuovo Parlamento, specialmente se dovesse risultare - come molti pronosticano - vincente. Dopo l’affermazione in Sicilia di Musumeci, i leghisti certamente smetteranno di civettare con i grillini, ma anche il Cavaliere non potrà più concedersi le troppe aperture verso Renzi e il centrosinistra dei mesi passati. Per formare il futuro governo probabilmente servirà un vasto accordo in Parlamento, visto il tripolarismo che caratterizza al momento il sistema politico italiano e la mancanza data per certa di una maggioranza parlamentare omogenea: ma che la soluzione possa essere la ‘grande coalizione’ tra Berlusconi e Renzi è un’ipotesi che da ieri ha cominciato a perdere di consistenza.

Quanto al M5S, pur nella sconfitta, che certamente deve aver provocato un moto di autentica delusione nel suo gruppo dirigente (lo dimostra la puerile rinuncia di Di Maio al faccia a faccia televisivo con Renzi: confronto che a dirla tutta, con la vittoria del centrodestra, non aveva più alcun senso politico), esso ha ottenuto un risultato comunque significativo: è di gran lunga la prima forza politica del Paese. Con un elettorato fedele e motivato. Con candidati (come ha dimostrato l’ottimo risultato personale di Cancelleri) capaci di raccogliere consensi anche al fuori della propria area di riferimento (un buon segnale per la futura battaglia nei collegi uninominali). Con una capacità di mobilitazione e penetrazione sul territorio che è indice di un crescente radicamento sociale e di una forza organizzativa che gli altri partiti farebbero male a sottovalutare. 

Con la sinistra in crisi, litigiosa, disarticolata e alla ricerca di una faticosa ricomposizione (anche in termini di alleanze), sembrano dunque centrodestra e M5S i due attori in campo all’apparenza più accreditati per uno scontro diretto. Certamente sono i due fronti più motivati e dinamici. Il primo è fortissimo nel Nord produttivo, dove già governa tre Regioni, e può contare sulla ritrovata capacità d’aggregazione e sulla spinta comunicativa di Berlusconi. Il secondo ha tutte le carte in regola per diventare – come si è visto in Sicilia – il catalizzatore politico di un malessere e di un sentimento protestatario (giovanile e non solo) che in questa parte d’Italia sono molto forti. Il centrodestra, dopo aver perso a beneficio dell’astensionismo pezzi importanti del suo storico elettorato, sta recuperando progressivamente consensi e voti. Il partito di Grillo dal canto suo ha dimostrato di saper reggere a qualunque critica, accusa o campagna di stampa negativa, segno che dispone di una solida base militante ma anche di un sentimento diffuso che nei suoi confronti, soprattutto a livello giovanile, è di simpatia, fiducia e interesse.

Centrodestra e M5S sono blocchi politici molto diversi, ma con segmenti di elettorato che potenzialmente si sovrappongono e che dunque saranno con ogni probabilità oggetto di reciproca contesa nei prossimi mesi. Il mondo della piccola impresa e delle libere professioni, dove tradizionalmente albergano sentimenti anti-politici, pulsioni anarcoidi e una cultura che inclina all’individualismo, è ad esempio potenzialmente sensibile sia al messaggio liberista e anti-burocratico del Cavaliere sia alle denunce dei grillini contro i poteri forti, alle loro proposte confusamente innovatrici in materia di lavoro o alle loro giaculatorie anti-sindacato. C’è poi una componente d’ordine, riflesso di certe paure diffuse nel corpo sociale, sulla quale le due forze convergono: ad esempio con riferimento al tema dell’immigrazione irregolare, che per entrambe è da contrastare e da limitare. 
Certo, più che strapparsi gli elettori che già votano, l’ideale per entrambi sarebbe riportare alle urne quei milioni di italiani che hanno smesso di farlo. Ma come si è visto in Sicilia questa è al momento l’impresa che nessuna forza politica sembra in grado di realizzare.
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