Se l'ingovernabilità
è il male minore

di ​Massimo Adinolfi
Domenica 21 Gennaio 2018, 12:25
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Dopo il voto, un governo del Presidente: e se D’Alema, almeno su questo punto, avesse ragione? A giudicare dalle reazioni venute dalle file di Liberi e Uguali, è una ragione che da quelle parti non può essere messa nero su bianco. Per Pietro Grasso, insieme con le altre forze politiche non si può fare un governo, ma solo una nuova legge elettorale. Per Laura Boldrini, in questo modo le persone si demotivano e non vanno a votare. 

Si capisce: usciti ieri da un partito che accusano di aver troppo virato verso il centrodestra, non possono proporsi oggi di fare un governo insieme con Berlusconi. D’altra parte, però, un governo come lo si fa? Un sistema politico tri o quadripolare non produce una maggioranza se non grazie a un sistema elettorale a doppio turno: come è avvenuto in Francia. Questa legge è invece congegnata perché nessuno abbia la maggioranza, ha detto D’Alema, ed è difficile dargli torto. Senza una maggioranza parlamentare, solo l’iniziativa del Presidente della Repubblica può sostenere l’esercizio di responsabilità delle forze politiche e portare ad un governo di «salvezza nazionale» che guidi una fase necessariamente di transizione. 

Che altro, sennò? Il quadro che si viene componendo in questi giorni, che precedono la presentazione delle liste, non è certo dei più rosei. Esso è anzi complicato da una legge elettorale che accentua gli elementi di squilibrio del sistema politico. Una legge per due terzi proporzionale, senza che nel Paese abbia ripreso piede la cultura del proporzionale, e per un terzo un maggioritario, senza che ne vengano vincoli per le coalizioni ed effetti determinanti sulla formazione delle maggioranze. 

Prendete allora il centrodestra: nei sondaggi, è dato avanti al Nord, dove può contare sulla forza della Lega. Lì i collegi uninominali possono in molti casi essere considerati sicuri, per i candidati che la coalizione sceglierà. Nel Mezzogiorno, invece, il numero di collegi sicuri è di gran lunga inferiore. Questo significa due cose. La prima: al Sud c’è meno possibilità di scelta, e il ceto politico è così costretto a difendere essenzialmente le proprie posizioni, garantendo anzitutto i seggi degli uscenti nel listino proporzionale. La seconda: il peso della Lega nel futuro Parlamento e nella coalizione di centrodestra ne risulterà accresciuto. La partita interna alla coalizione sarà peraltro decisiva, perché dalla distanza fra i due principali partiti, Fi e Lega, dipende anche la maggiore o minore facilità, per Berlusconi, di sganciarsi dalla Lega e rendersi disponibile per il governo del Presidente di cui parla D’Alema.
Anche per il partito democratico questa legge, che pure porta la firma del suo capogruppo alla Camera, Ettore Rosato, non è certo un toccasana. Diminuita la capacità coalizionale, il Pd deve considerare insicuri quasi tutti i collegi uninominali: agli uscenti, che subiranno una robusta sforbiciatura, non resta che andare nel listino proporzionale. In questo modo, però, il Pd produce, ancor più del centrodestra, un’impressione di arroccamento. Né c’è modo di far valere, agli occhi dell’opinione pubblica, l’argomento che anche la politica, come tutte le professioni, ha bisogno di continuità di esperienza e di competenza. Siamo pur sempre il Paese che negli ultimi anni ha tagliato il finanziamento alla politica, in cui i partiti si dettano regole di limitazione del numero dei mandati, e in cui permane l’idea che la mitica società civile è sempre meglio della società politica. Se a ciò si aggiunge che, soprattutto al Sud, è in genere pronto a sostenere la sfida dei collegi solo il micronotabilato locale, si vede subito in quale inghippo i democratici si siano cacciati con le loro stesse mani.

Per i cinquestelle è molto diverso. In termini di candidature, hanno molto più da offrire, e molto meno da dover garantire. Possono infatti presentarsi anche nella composizione delle liste come la forza che pesca fuori dal Palazzo, e porta in Parlamento energie nuove e fresche. Vedremo domenica, con l’annuncio dei risultati delle parlamentarie, quanta parte dei deputati e senatori uscenti sarà ricandidata, e come verrà affrontato il nodo collegio/listino. Ma non c’è dubbio che i grillini abbiano affrontato questa fase con più slancio: gli altri partiti contano i passi indietro di quanti non vogliono arrischiarsi nei collegi, i Cinque Stelle quelli in avanti dei molti che vogliono buttarsi. 

Dove con ciò si vada a finire è tutt’altro discorso. D’Alema ha detto: da nessuna parte. Perciò ci vorrà un governo che metta insieme quel che si sarà salvato da un capo all’altro del Parlamento dalla rivoluzione dei parvenu. È un ragionamento certamente interessato: è il modo in cui far pesare i propri voti anche se Liberi e Uguali dovesse andare incontro a un cattivo risultato. Per questo l’obiezione che gli viene da sinistra, che in questo modo gli elettori si allontanano, gli importa poco: la sconfitta è già messa nel conto. Ma è un ragionamento tutto politicistico; perciò, visti i tempi, può apparire solo come l’araba fenice della prossima legislatura: che si faccia nessun lo dice, come si faccia ciascun lo sa.
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