Se i regimi
​fanno la storia

di ​Biagio de Giovanni
Domenica 19 Novembre 2017, 12:02
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La congiuntura che attraversa la democrazia liberale in Occidente si va avvitando in coni d’ombra sempre più inquietanti. Lo dice anzitutto il quadro di America e di Europa, i luoghi portanti della sua nascita e del suo sviluppo. L’America di Trump, e l’Europa incerta, divisa sul che fare e sul che pensare di sé. La cosa è tanto più evidente quanto più il mondo diventa interdipendente, e quanto più le incertezze dell’Occidente consentono un assedio che giunge da varie parti, e che finisce con il toccare i suoi principii costituenti. 

Questo stato di cose emerge dal suo stesso interno, con difficoltà e problemi senza precedenti riguardanti tutti o quasi gli stati che, per riflettere sulla situazione più vicina a noi, fanno parte di Europa. Assedio esterno in forme varie e diversamente influenti. La Cina parla di sé, ormai, come la vera interprete di una globalizzazione aperta, contro l’America che sembra volersi rinchiudere nei propri confini. Con l’evidente paradosso di una Cina che si impadronisce di un prodotto, il mondo globale, che proprio l’America aveva reso possibile. 

La Russia di Putin sta intervenendo massicciamente in tutti i momenti in cui si vanno esercitando le pratiche normali della democrazia liberale, ignote a Cina e a Russia, provando a influenzare i voti più delicati, da quello inglese sulla Brexit, al voto in America, alla situazione di Catalogna. 

Fermiamoci sull’Europa: l’intento di Putin è di disgregare il tessuto unitario dell’Unione europea, approfittando della ritirata dell’America di Trump ( e prima, in forme certo diverse, anche di Obama) e delle incertezze drammatiche che attraversano il nostro continente. Il dato che accomuna questa veloce rappresentazione dello stato delle cose è che il gioco mondiale, al momento, è fra le mani soprattutto di stati autocratici, di democrazie illiberali. E se volgiamo lo sguardo al travagliato Medio Oriente non abbiamo un quadro più confortante, giacché la sconfitta dell’Isis (cosa indiscutibilmente positiva) sta creando una nuova egemonia tra Iran e Siria tutt’altro che rassicurante per il futuro di quella zona e dell’unica democrazia che la abita, Israele.

Di che cosa è segno tutto questo? Indiscutibilmente di una crisi profonda delle democrazie liberali che abbiamo considerato per decenni come la forma consolidata e in un certo senso definitiva della democrazia, che si sarebbe espansa in tutto il mondo civilizzato, soprattutto dopo il 1989: in questo senso la data della fine della storia come disse qualcuno. Sta avvenendo esattamente il contrario. È un dato solo congiunturale? Non credo. Intanto perché la Cina sta lì a smentire l’assioma schumpeteriano sul nesso obbligato tra democrazia liberale e sviluppo economico, e la smentita è macroscopica. E poi perché la prima grande crisi politica della globalizzazione incide profondamente proprio nella fisionomia delle democrazie liberali che non riescono per ora a governarne gli effetti. Ci riusciranno in futuro? A me pare problematico, pur non sottovalutando l’immane potenza economica e finanziaria che ancora l’Occidente nel suo insieme rappresenta. Ma l’Occidente ha rinunciato a far politica globale. È debole, dunque, nel mondo la politica delle democrazie liberali, che significa forza e qualità dei parlamenti, riconoscimento reciproco tra le forze politiche, unità dell’interesse nazionale, spazio pubblico di dibattito, mediazione delle culture politiche, tutela effettiva dei diritti umani e tanto altro. Tutto questo è in affanno, dove più, dove meno.

Ragioniamo sull’Europa. La vedo sotto assedio, e debole nella risposta. Sotto assedio geopolitico della Russia – con l’America che si va tirando da parte - e sotto assedio di una immensa moltitudine di migranti che dai paesi del malessere e della guerra vogliono entrare nei suoi confini. Ci vorrebbe uno sforzo politico enorme, ma l’Europa c’è assai poco. Ed è inutile richiamare ancora una volta gli esempi che abbiamo sott’occhio: da Brexit a Visegrad, cui oggi si aggiunge la nuova instabilità della Germania, unico nucleo potente di Europa. E le democrazie liberali fibrillano sotto i colpi dei populismi di varia estrazione. 

L’Italia di oggi è il punto tra i più deboli in questo stato di cose. Manca, delle democrazie liberali, l’elemento essenziale, il riconoscimento reciproco tra le forze politiche, tra le culture e le proposte che si dovrebbero confrontare. Lo spazio pubblico è invaso da false notizie e da violenti disconoscimenti, e in questo clima finiscono con il mancare le proposte stesse. E torna alla memoria, anche per la data che ricorre -18 novembre del 1977, due anni prima della sua morte violenta- un celebre discorso di Aldo Moro pronunciato a Benevento. Perché richiamarlo qui, dopo di aver appena rappresentato una crisi che a me pare inquietante e per davvero senza fondo? Per una ragione che ancora riesce a colpirci quando lo si va a riguardare: perché, in una fase critica della vita dell’Italia, allora sotto i colpi del terrore, Moro riapriva la ricerca di un dialogo con la più grande forza di opposizione, con il partito comunista nientemeno. Non mischiava le identità, parlava di una “indifferenza” verso la costituzione politica di quel partito, ma cercava, in un discorso pieno di sfumature e di colpi netti e improvvisi, a tener vivo un rapporto che potesse aiutare a mantenere la coesione dell’Italia. Non aggiungo altro sugli sviluppi di quella vicenda, e mi trasferisco subito ad oggi. 

L’orizzonte è opposto. Odii, rancori, se c’è lui non ci posso essere io, valanga di accuse, ognuno contro tutti, mentre l’Italia pencola su una montagna di problemi irrisolti. Mentre tutti gli assopimenti, per dir così, di una democrazia liberale sono sotto i nostri occhi. La sinistra, che è tra i protagonisti innegabilmente più brillanti di questa situazione, spezzata in mille pezzi, tutti a dire non posso stare con quello se c’è quell’altro. Renzi è l’obiettivo principale, forse perché ha messo in discussione la storia sacra e subisce il destino degli eretici, ma non voglio entrare nel merito. E lascio la sinistra. Dappertutto rancori, dinieghi, divisioni, reciproche mortali offese. Quale sarà il destino d’Italia in un mondo sempre più difficile, incerto? Dove le democrazie liberali rischiano dappertutto di arretrare? La risposta resta sospesa.

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