La verità di Renzi: staffetta con Letta, non ci fu alcun golpe. Ma Enrico: «Silenzio e disgusto»

La verità di Renzi: staffetta con Letta, non ci fu alcun golpe. Ma Enrico: «Silenzio e disgusto»
di Stefania Piras
Giovedì 13 Luglio 2017, 10:35 - Ultimo agg. 16:14
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Un flusso di coscienza lunghissimo, duecentotrentacinque pagine di analisi, di domande «dove abbiamo sbagliato?». Nel libro dell'ex premer Matteo Renzi ci sono i mille giorni di governo e sfide. Una su tutte, definita quella «che perdiamo nel modo più clamoroso è quella delle banche, perché ci affidammo quasi totalmente alle valutazioni e alle considerazioni della Banca d' Italia, facendo un errore» sia perchè - rimarca - gli è rimasto addosso l'accusa di amici dei banchieri «ma a me le banche stanno antipatiche».

«Denuncia postuma e patetica» per il vicepresidente del Senato, Maurizio Gasparri che aggiunge: «Sono anni che denuncio personalmente le inefficienze di Bankitalia e di Visco. Dov'era Renzi durante le manifestazioni di protesta a Via Nazionale dei correntisti che avevano perso tutti i loro risparmi per colpa dell'omessa vigilanza di Palazzo Koch?»

Poi c'è il capitolo Enrico Letta. Liquidato con un emoticon: «Letta entra in modalità broncio». «L'idea che si sia trattato di una coltellata alle spalle è una fake news» scrive Renzi che rigetta la teoria dell'usurpazione «di chissà quale investitura democratica o popolare» anche perchè ricorda che «la sua designazione, nel 2013, non era stata decisa da alcun organismo di partito né da un voto popolare». Numeri alla mano Renzi scrive: «l'unica volta in cui Enrico si era candidato alle primarie, nel 2007, aveva raccolto la miseria dell'11% di voti. Più o meno la stessa percentuale di Civati qualche anno più tardi». É sempre e ancora lui: vocazione maggioritaria e allergia per i cespugli. «Fare la parte della vittima funziona sempre in un paese in cui si ha più simpatia per chi non ce la fa che per chi ci prova» conclude. Enrico Letta ieri ha risposto con quello stesso gelo respirato il giorno della cerimonia della campanella. «Sono convinto che il silenzio esprima meglio il disgusto e mantenga meglio le distanze. Da tempo ho deciso di guardare avanti e non saranno queste ennesime scomposte provocazioni a farmi cambiare idea. Gli italiani sono saggi e sanno giudicare».

Ci sono tutti i passaggi cruciali della sua avventura a palazzo Chigi raccontati a modo suo, rigorosamente su supporto cartaceo ma con l'emotività volatile di una chat che ambisce a essere romanzo di formazione e delusione pure. C'è il racconto della notte del 4 dicembre, quando il 40 per cento delle Europee resiste ma, dalla parte sbagliata mentre chiuso in una specie di seduta collettiva c'è tutto il gruppo M5S che appena escono gli exit poll con il No in testa, fanno una ola entusiasta e vittoriosa: la loro opposizione totale e il loro no ontologico ha stravinto. C'è l'amarezza e un'isteria malcelata sull' «ubriacatura filogrillina» di alcuni commentatori che all'ammirazione del sindaco quarantenne che diventa premier hanno sostituito una curiosità crescente per l'inesperienza candida, e senza alibi, dei pentastellati.

Parla delle toghe e divide la categoria in due gruppi: «la grande maggioranza dei magistrati italiani è composta da professionisti impeccabili, formati in modo molto serio e dotati di competenze e preparazione. Poi ci sono le eccezioni, è ovvio: poche persone obnubilate dal rancore personale che collezionano indagini flop e che provano a salvare la propria immagine attraverso un uso spasmodico della comunicazione e del rapporto privilegiato con alcuni giornalisti».

Poi parla di «una signora che mi sta squadrando e seguendo con gli occhi». Eccola Angela Merkel, «rapporto intenso ma complicato» dovuto alle «contraddizioni della politica economica di Berlino, che peraltro - sottolinea - non rispetta gli impegni europei in materia di surplus commerciale, scelta per la quale chiedo formalmente che la Commissione verifichi una possibile procedura di infrazione». Nel libro Merkel compare via sms quando Renzi decide di fare gli scatoloni e lasciare Palazzo Chigi. Anche Obama gli scrive per dirgli di pensare alla stabilità e quindi implicitamente di non presentare le dimissioni. Ma lui dice no per «il valore straordinario di mantenere la parola».

E poi con una frase racconta la sua piccola grande rivoluzione politico culturale: «È inutile, anche se mi sforzassi, Berlusconi non mi starà mai antipatico».