«Dopo i referendum del Nord
possibile differenziare i diritti»

«Dopo i referendum del Nord possibile differenziare i diritti»
di Marco Esposito
Giovedì 23 Novembre 2017, 10:03 - Ultimo agg. 10:14
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I referendum in Lombardia e Veneto possono spaccare l’Italia?
«Non spetta a me tirare le conclusioni. A me, all’Ufficio che presiedo, tocca fornire al Parlamento i numeri per capire e decidere. Oggi due individui uguali in tutto - età, sesso, condizioni di salute, reddito - tranne che per la residenza sono uguali o sono diversi?». A presentare la domanda-chiave è Giuseppe Pisauro, il quale non è solo un economista della Sapienza, è presidente dell’Upb, l’Ufficio parlamentare di bilancio, l’organismo indipendente specializzato nel controllo dei conti pubblici. Ieri Pisauro è stato protagonista di una animata audizione della commissione Bilancio della Camera, presieduta da Francesco Boccia, talmente movimentata che è stata aggiornata a mercoledì 29, con le risposte alle domande che arriveranno entro domani da parte dei gruppi parlamentari.

Partiamo dall’inizio: cosa dicono i numeri dell’Upb?
«Noi abbiamo lavorato su dati della Banca d’Italia e dei Cpt, i Conti pubblici territoriali, partendo da quelli che vengono chiamati “residui fiscali”, di cui tanto si discute nelle regioni del Nord».

In effetti al lettore di un giornale del Sud i “residui fiscali” vanno spiegati.
«Sono la differenza tra le tasse raccolte in un territorio e le spese pubbliche effettuate in quel medesimo territorio. Per esempio in Lombardia le tasse raccolte sono più dei servizi erogati mentre in Campania accade il contrario. Ma sui residui si gioca un grande equivoco».

Vale a dire?
«Nel dibattito sembra quasi che ci sia una volontà nazionale di prendere i soldi della Lombardia e di portarli in Campania. Non è così. Solo una piccolissima parte della spesa pubblica è destinata esplicitamente ai territori». 

Quanto?
«La gran parte della spesa pubblica è legata al funzionamento di politiche nazionali che considerano i cittadini come destinatari di diritti, così come a pagare le tasse non sono i territori ma i contribuenti, con un sistema fiscale che prevede che i ricchi paghino di più. Quindi i cittadini ricchi della Campania ricevono e pagano esattamente come i cittadini ricchi della Lombardia e hanno ciascuno un residuo fiscale negativo, cioè pagano più di quanto ricevano. Allo stesso modo i poveri della Campania e i poveri della Lombardia hanno un residuo fiscale positivo, cioè ricevono più di quanto versino. I bilanci territoriali ci dicono solo che, in termini relativi, ci sono più ricchi in Lombardia e più poveri in Campania».

Lo spieghiamo con un esempio?
«Ci provo. Prendiamo una spesa generale, come la difesa. Serve alla sicurezza di tutti, ovunque vivano. Ma è pagata con le imposte, le quali pesano in modo maggiore su chi ha un reddito superiore alla media. Quindi un cittadino a basso reddito vive in un Paese altrettanto al riparo da invasioni rispetto al concittadino ricco, ma ha contribuito meno al costo della difesa. Quindi dal suo punto di vista ha un residuo positivo, mentre il ricco ha un residuo negativo. La somma dei residui positivi e negativi di ciascun territorio porta il saldo regionale».

Qual è la somma complessiva dei residui fiscali?
«Nel confronto Nord-Sud una stima è di 54 miliardi».

Ed è sensato chiedere, come fa la Lombardia, la metà di quel residuo fiscale oppure, come pretende il Veneto, che i nove decimi delle tasse restino ai territori?
«Le richieste di maggiore autonomia di Lombardia, Veneto e aggiungerei dell’Emilia Romagna, se attuate in base alla Costituzione, portano come conseguenza la neutralità perequativa, quindi nulla cambierebbe rispetto ai residui fiscali delle singole Regioni». 

Più poteri non vuol dire più risorse?
«Le risorse fiscali attribuite alle Regioni che ottengono nuove competenze dovrebbero essere fissate in modo da produrre gettiti esattamente pari alla spesa storica dello Stato in quella Regione, cioè al costo dell’attuale fornitura statale per tali funzioni».

Dovrebbero...
«Il rimando che l’articolo 116 della Costituzione fa all’articolo 119 dovrebbe essere interpretato come un richiamo alle esigenze perequative-solidaristiche. Quindi le modalità di finanziamento delle nuove competenze non possono costituire un escamotage per consentire alle Regioni ricche di sfuggire ai doveri di solidarietà verso le aree economicamente più deboli del Paese».

Lombardia e Veneto faranno un buco nell’acqua, rispetto all’obiettivo di ridurre i residui fiscali?
«In base alla Costituzione direi di sì: dal punto di vista degli equilibri fiscali tra territori non dovrebbe cambiare nulla. Se così non fosse e si andasse verso il modello delle regioni a statuto speciale, sarebbe necessario abbassare gli standard generali garantiti in tutto il territorio italiano. Con standard locali integrativi, che sarebbero differenziati per residenza». 
Ciò significherebbe che due persone uguali in tutto, tranne che nella residenza, non sarebbero più uguali?
«Direi proprio di sì. Noi consideriamo giusto trattare in modo diverso una persona malata rispetto a una in salute, una persona povera rispetto a una agiata. Mentre troviamo ingiusto trattare in modo diverso un uomo da una donna o un credente da un non credente. Se ritenessimo eccessivi i flussi tra i territori, i 54 miliardi che vanno da Nord a Sud, si dovrebbe modificare il sistema fiscale dando più peso alle aliquote locali, senza più garantire standard nazionali elevati, e quindi ammettere che due individui uguali in tutto tranne che per la residenza sono diversi».

Purtroppo è già così: basta spulciare i fabbisogni standard comunali, che l’Upb ha esaminato in dettaglio, per trovare fabbisogni zero per gli asili nido o gli autobus in città del Mezzogiorno.
«Lo so bene. E infatti abbiamo segnalato al Parlamento che si stanno misurando i fabbisogni in parte sulla base dei servizi erogati, che storicamente sono maggiori al Nord e al Centro. Ma su sanità e istruzione, politiche nazionali, è associata una spesa molto maggiore».

Per il Mezzogiorno significa certificare che si è cittadini di serie B. Più di quanto non accada oggi, visto che la spesa pubblica al Sud è già più bassa.
«A noi dell’Upb spetta porre i temi con chiarezza. Finora mi sembra che ci sia stata qualche ambiguità sulle ragioni che sono dietro la formazione dei residui fiscali. Immagino che se si chiedesse esplicitamente a un lombardo: “Vuoi che ci sia meno assistenza sanitaria per chi vive al Sud?” Lui risponderà di no». 

Se lo chiede a un meridionale risponderà: perché, la sanità al Sud non è già insufficiente?
«Capisco: ma sono temi diversi. Il finanziamento del servizio sanitario nazionale non discrimina il Sud, il problema semmai è la qualità della spesa, che va monitorata, vanno impediti gli sprechi, ovunque si verifichino. Il modello verso il quale si potrebbe andare è di diritti, e risorse, fortemente differenziati sui territori. Una scelta politica verso la quale il mio ruolo di tecnico è assolutamente neutrale. E si deve limitare a chiarire le conseguenze di ciascuna scelta».
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