Referendum il 4 dicembre: l’ipotesi di Palazzo Chigi

Referendum il 4 dicembre: l’ipotesi di Palazzo Chigi
di Nino Bertoloni Meli
Sabato 24 Settembre 2016, 00:00 - Ultimo agg. 26 Settembre, 00:06
4 Minuti di Lettura
IL RETROSCENA
ROMA Si vota il 4 dicembre. E’ questo l’orientamento che è prevalso ai vertici del governo. Matteo Renzi in pratica opterebbe per l’ultima domenica utile consentita dalla legge per far svolgere il referendum. (La consultazione si deve tenere in una domenica tra il 50° e il 70° giorno dopo la decisione del Consiglio dei ministri, che è stato convocato per lunedì 26). «Io sono per scegliere una data che crei il minor numero di polemiche», aveva spiegato più volte il premier a chi gli chiedeva lumi, ma senza farci troppo affidamento, visto che di polemiche strane, inverosimili e surreali è lastricato il percorso in vista della scadenza delle urne, non ultima questa sul quesito della scheda elettorale. 

FINI ISTITUZIONALI
La data del 4 dicembre è apparsa la più idonea per arrivare alle urne nel modo migliore ai fini anche istituzionali. Ci sarà il maggior tempo possibile per la campagna elettorale, per potere quindi spiegare le motivazioni in lungo e in largo su una materia che generalmente non appassiona l’elettorato (34 per cento nel 2001 e 52,5 per cento nel 2006, l’affluenza alle urne). Per quella data la legge di stabilità dovrebbe essere stata approvata almeno in una delle due Camere, e quindi già in grado di poter essere giudicata e valutata nei suoi effetti. «
Tanto avranno comunque da ridire», ha messo le mani avanti Renzi quando gli è toccato affrontare l’argomento. Se polemiche devono comunque essere, si scelga allora la data che meglio si addice a una consultazione come questa, la più importante degli ultimi 70 anni riguardante nientemeno che la Costituzione con decine di articoli da cambiare, il ragionamento che si è fatto strada ultimamente ai piani alti di palazzo Chigi, dove ancora l’altro giorno la data più probabile veniva data il 27 novembre. 
Le polemiche, in questa vigilia che sempre più si va arroventando, non erano del resto mancate. Uno dei principali oppositori della riforma, Massimo D’Alema, aveva parlato di un governo che «fa il furbo» non fissando la data; altri erano addirittura arrivati a dire e scrivere che il governo voleva rinviare il referendum sine die, come se fosse in suo potere farlo, e questo quando ancora si parlava del «referendum di ottobre», la data che a lungo ha dominato la scena. Ma per svolgere la consultazione ai primi dell’autunno, il governo avrebbe dovuto fissare la data prima delle vacanze estive, cosa che non è avvenuta, stando sempre nei limiti della legge e delle procedure. Che il clima sia di polemiche a ogni costo, lo dimostra l’ultima in ordine di tempo scoppiata a proposito della scheda elettorale. 

L’ULTIMA POLEMICA
«E’ uno spot a favore del sì», accusa Renato Brunetta nella sua quotidiana intemerata contro palazzo Chigi. «E’ solo arroganza del potere», fa eco D’Alema. E perché tanto accanimento? I polemici sostengono che il quesito che gli elettori troveranno sulla scheda enumera in maniera troppo esplicita le ragioni del sì, e in particolare recita «approvate voi le disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel, e la revisione del titolo V della Costituzione?». L’accusa, in sostanza, è di avere scritto un quesito troppo chiaro e comprensibile, laddove nei precedenti quesiti, come ad esempio l’ultimo sulle trivelle, l’elettore trovava sulla scheda diciture del tipo “volete voi che sia abrogato l’art.6, comma 17, terzo periodo, del decreto 3.04.2006, n.152, sostituito dal comma 239 dell’articolo...”, e via burocatesizzando. Ma c’è anche un risvolto da lotta politica, tutto a sfavore dei polemici. Lo fa presente Maria Elena Boschi, la fautrice del ddl di riforma costituzionale: «Il quesito non lo decide il governo, ma la Corte di Cassazione», e in questo caso la domanda che gli elettori troveranno sulla scheda «altro non è che l’intestazione del ddl di riforma», in pratica il quesito riproduce nient’altro che il titolo della riforma. 
A Brunetta, in sostanza, Boschi e gli altri ricordano che questo testo del ddl il capogruppo forzista «l’ha avuto sotto il naso per tutta la durata delle tre votazioni alla Camera su sei in Parlamento per l’approvazione», ricorda Stefano Ceccanti che di Costituzione si intende, «e avrebbe avuto tutto il diritto di contestarlo allora, e di chiederne la modifica», ma non lo fece, o perché “distratto”, o perché in un primo tempo il testo fu approvato con il voto anche di Berlusconi (ma anche allora Brunetta mordeva il freno), o perché non aveva capito per tempo che il quesito alla fine sarebbe stato proprio l’intestazione della legge.

 
© RIPRODUZIONE RISERVATA