Reddito di cittadinanza, il caso Campania: «Impossibile il via a marzo»

Reddito di cittadinanza, il caso Campania: «Impossibile il via a marzo»
di Francesco Pacifico
Venerdì 19 Ottobre 2018, 08:30 - Ultimo agg. 15:53
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Luigi Di Maio, martedì scorso, è stato perentorio con gli assessori al Lavoro: il reddito di cittadinanza deve partire a marzo per 6 milioni di disoccupati e inoccupati. E poco importa, in fondo, se i soggetti centrali in questa operazione – i centri per l’impiego – sono in stato comatoso. Dalla Campania Sonia Palmeri quasi trasecola quando le si chiede se la terza regione d’Italia è pronta per quel periodo. «Chiaramente no. Ma come possiamo esserlo se al momento stiamo discutendo soltanto aperto sui centri?». Della stessa idea sono la collega toscana Cristina Grieco - «A marzo? Se non sappiamo ancora cosa dobbiamo fare» - o quello pugliese Sebastiano Leo: «A Bari abbiamo un solo centro». Unica voce dissonante Melania Rizzoli, assessore al welfare del Pirellone: «Noi siamo prontissimi, ma perché siamo lombardi. Casomai è il governo a non sembrarci pronto». 
Martedì scorso Luigi Di Maio ha convocato i 21 assessori per parlare del futuro dei centri regionali. Entrambe le parti hanno presentato una piattaforma di principi che collima in molti punti: assunzioni con nuove competenze, restyling delle sedi quanto delle reti informatiche, un marchio unico e soprattutto – cosa più complessa in un Paese dove manca anche una vera anagrafe dei disoccupati e una sui soggetti beneficiari del welfare – procedure e database unificati. Uniche (sostanziali) differenze il numero degli addetti da reclutare (gli enti parlano di 8.000 ai quali aggiungere la stabilizzazione di 1.600 contrattisti presi per il Rei) e il via libera ai Lep, i livelli essenziale delle prestazioni, che per i governatori sono necessari per stabilire i veri fabbisogni dei territori e sui quali il governo nicchia. Nessuno scontro, ma neppure neanche reali passi avanti. 

«Ci vedremo a fine mese per attivare i tavoli tecnici – aggiunge Palmeri – ma finora abbiamo discusso di propositi, per quanto condivisibili. Lo scorso giugno ho trovato in Campania, da quando i centri sono stati trasferiti dalle ex Province a noi, una situazione drammatica: strutture vecchie, scarsa conoscenza informatica, personale assunto trent’anni fa con competenze meramente amministrative quando oggi c’èi sono bisogno di psicologi del lavoro e orientatori. Il primo passaggio, l’abbiamo ripetuto al ministro, è il superamento dei paletti che ci impediscono di assumere. In Campania, anche collegandolo al piano De Luca sul lavoro, serve il doppio degli attuali 560 dipendenti, e devono essere giovani». 

Qui i centri per l’impiego davvero efficienti si contano sulle dita di una mano. Palmeri replica che «a Poggioreale la struttura per le categorie protette ha creato duemila posti. In proprio abbiamo già stanziato 16 milioni e firmato importanti partenariati con i privati. Perché è vero che funzionano meglio le agenzie del lavoro, ma questi, in quanto privati, sanno raccogliere le richieste di lavoro, si presentano direttamente alle aziende per vendere i servizi di selezione di personale. Io, i dipendenti pubblici, mica posso mandarli in giro». 

Altro ostacolo nella realizzazione dei centri per l’impiego è l’assenza di informazioni per capire chi veramente ha diritto ai 780 euro. Al riguardo Roberta Gaeta, assessore al welfare al comune di Napoli, forse gli unici enti che hanno il polso sull’erogazione delle prestazioni assistenziali, consiglia al governo «di non disperdere l’esperienza del Rei, il reddito d’inclusione. Napoli è, con 30mila domande, la prima città in Italia per numero di richieste. Abbiamo fatto un grande sforzo per incrociare le nostre banche dati, con il risultato che i nostri assistenti sociali conoscono le necessità». E quali sono? «In città la richiesta di lavoro e integrazione al reddito è superiore a quella di servizi di welfare. Bisognerà tenerne conto, anche se la legge prevederà che i disoccupati possano lavorare per i Comuni». Un’ipotesi, questa, che non piace a Sebastiano Leo: «Sarebbe meglio indirizzarli verso le aziende, visto che gli enti non avranno mai i soldi per assumerli. Rischiamo altri Lsu». 

Intanto, dalla Toscana Cristina Grieco, coordinatore degli assessori al Lavoro nella Conferenza della Regioni, sottolinea che «il miliardo annunciato da Di Maio per i centri è un primo passo avanti, ma serve solo per le assunzioni. Non a caso al governo abbiamo ripetuto di non chiederci un sostegno finanziario, perché i fondi europei a disposizione sono appena sufficienti per tutte le politiche attive». Ancora più dura la collega Melania Rizzoli: «Noi non rinunciamo al modello lombardo, che è all’avanguardia». Modello che vuol dire servizi in outsourcing ai privati e competenze lasciate alle Province. «Alle Regioni – conclude – dovrebbe essere lasciata la facoltà di definire il proprio modello organizzativo e quindi anche della possibilità di realizzare reti di partenariato con il privato. Non vorremmo che, per finanziare le strutture, poi non si finanzino i servizi». 
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