Rai, quando il Cda
è specchio dei governi

di Mario Ajello
Venerdì 20 Luglio 2018, 08:25 - Ultimo agg. 09:12
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Ogni Cda Rai è la fotografia, o la caricatura, del governo che lo esprime e a sua volta ogni governo è caratterizzato dal Cda Rai che mette in campo. Così è anche stavolta, con i giallo-verdi: una tivvù «del cambiamento» per un governo «del cambiamento». Se poi i due cambiamenti ci saranno davvero, è tutto da vedere. «Anche la nostra - racconta Franco Cardini, storico di fama chiamato nel consiglio d’amministrazione nel ‘94 - doveva essere una Rai in discontinuità con tutto. Dovevamo rappresentare la sconvolgente novità del berlusconismo trionfante, ma presto si accorsero che eravamo troppo poco berlusconiani. Io ero stato scelto dalla presidente della Camera, la Pivetti, che dopo un po’ cominciò a tramare, sbagliando, contro Berlusconi. La Lega preparava il Ribaltone. Massimo D’Alema pure. E fece dimettere il suo amico Alfio Marchini dal Cda. Che è sempre stato lo specchio dell’equilibrio, o del disequilibrio, politico vigente». E dell’antropologia del momento: l’efficientismo milanese di cui Silvio il conquistatore era il simbolo si specchiò nell’efficientismo meneghino di Letizia Moratti come presidentessa del palazzo di Roma Prati. 

Ma prima ancora, nel ‘93, governo Ciampi, frutto del collasso dei partiti della Prima Repubblica, che cosa c’era stato di più ciampista della cosiddetta Rai dei professori? Il Cda poteva essere il Cdm (cioé il consiglio dei ministri) o viceversa. Oltre al presidente Claudio Dematté, ordinario di economia aziendale, il filosofo Tullio Gregory, l’editrice Elvira Sellerio, lo storico e giornalista Paolo Murialdi e via così. Non riuscirono a raddrizzare una Rai che si stava avviando, e in parte già era, a diventare ciò che è sempre stata: funzionari inesistenti, dirigenti con la fidanzata divetta incorporata nel grado e intorno al sancta sanctourm del Settimo Piano congiure, marchette, spese folli (il sobrio tandem Gubitosi-Tarantola fu il primo ad autoridursi lo stipendio applicando la sobrietà montiana e dirigendo però la Rai meglio di come Monti diresse il governo), marchette, tribalismi. Nel Cda Tarantola con Gubitosi plenipotenziario la sinistra consapevole del grillismo che se la sarebbe mangiata sperimentò la retorica andante della società civile uber alles al tempo della crisi dei partiti. E infilò la coppia marziana Gherardo Colombo-Benedetta Tobagi, rivelatasi inutile o controproducente. Fino all’arrivo di Renzi che in Rai ha piazzato i suoi e ha sperato invano in Campo Dall’Orto. Ma la vera goduria è stato il Cda Smart. Guidato da Antonio Baldassarre. Il giurista mandato dal Cavaliere nel 2002 si trovò a suo agio nello scintillante e seducente potere televisivo. Ma con un problemino. Via via i consiglieri - «Il primo a dimettermi fui io», racconta Luigi Zanda, in quota centrosinistra - lo mollarono e alla fine il Cda diventò una biposto: una Smart ad uso della strana coppia Baldassare-Albertoni. E quante risate. «Ci si diverte a stare in Cda», osserva Giuliano Urbani, politologo ex berlusconiano in Cda nel 2006 con Petruccioli presidente: «Quello fu il Cda della debolezza prodiana e della pazza voglia di riconquista del Cavaliere. Noi volevamo essere autonomi e fantasiosi, i partiti non erano d’accordo e ci cacciarono». 

L’ultimo Cda da governo berlusconiano sarebbe stato quello con Paolo Garimberti presidente e Mauro Masi dg lanciato contro Santoro e Fazio in mezzo a polemiche e scandaletti e all’esplosione del centrodestra tra finiani, tremontiani e forzisti. Quella era l’Italia ballerina e festaiola, sull’orlo del baratro, e Masi (poi sostituito dalla vaticana Lorenza Lei) sapeva danzare benissimo. Mentre il Cda di Enzo Siciliano fu quello (‘96, d’ispirazione veltroniana) che con la musica classica in prima serata doveva riacculturale gli italiani traviati dal trash berlusconiano. Altro flop. E narra Marcello Veneziani, intellettuale di destra, che dal 2003 fu al Settimo Piano con la Annunziata presidente e Cattaneo dg: «L’unica cosa di cui mi pento nella mia vita è di essere stato nel Cda Rai. Non conti un tubo, non puoi fare niente e tutti ti guardano come se fossi un maneggione pieno di donne». Ottimo avvertimento per i nuovi inquilini di Viale Mazzini. 
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