Renzi, la grande frenata: «Resto nel Pd, niente scissioni»

Renzi, la grande frenata: «Resto nel Pd, niente scissioni»
di Nino Bertoloni Meli
Venerdì 7 Dicembre 2018, 07:00 - Ultimo agg. 20:29
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«Io resto nel Pd, chiaro?». «Non sono il burattinaio di nulla, né della mia corrente che non esiste, né di altro, le correnti sono la rovina del Pd». E' Matteo Renzi che parla e si sfoga, teso soprattutto ad allontanare da sé l'immagine di killer del partito che fino all'altro giorno ha guidato dopo averlo scalato e conquistato. «E' inutile che si sbraccino e si diano da fare per farmi passare come l'affossatore del Pd, non è vero, i problemi del Pd ci sono ma prescindono da me, sono di portata mondiale, e non a caso l'altro giorno ho ricordato l'Andalusia, l'ultimo posto dove la sinistra ha preso una sberla, e ho detto: dipenderà mica dal mio carattere?». Lo sfogo continua: «Hanno l'ossessione di Renzi, o forse gli fa comodo indicare sempre e solo un avversario, me, ma è meglio che smettano. Io non faccio alcun nuovo partito, al massimo lavoro per allargare il perimetro del Pd che da solo non basta per arginare l'ondata populista, per questo ho fatto quegli incontri a Bruxelles in vista delle Europee».
 
E per dimostrare l'assunto che nel Pd c'è chi lavora per mettere all'angolo Renzi facendolo passare per il burattinaio dietro le quinte, i renziani fanno circolare una riflessione molto critica di Goffredo Bettini, ricordando che l'europarlamentare che fu braccio destro di Veltroni già a suo tempo aveva teorizzato l'idea di una separazione consensuale di Renzi dal Pd, «lui e la sua cerchia se ne vadano e facciano un'altra cosa, poi magari ci alleeremo, ma meglio separarsi». Adesso Bettini è più caustico e attribuisce lo stato comatoso in cui versa il Pd «alle furbizie, alle piroette e alle ambiguità di Renzi, che hanno fatto venire meno le elementari regole di lealtà».

Il giorno dopo il grande ritiro di Marco Minniti, più che interrogarsi sulle ragioni, si riflette sulle decisioni da prendere. Shock titola Democratica, la testata on line che ha sostituito l'Unità. Di Minniti nessuno dei renziani ha molta voglia di parlare, solo qualcuno si spinge a dire su un divano del Transatlantico che «voleva vincere il congresso con il c.. con il voto degli altri».

Fatto sta che il ritiro minnitiano ha provocato lo sconcerto dentro l'area renziana, spaccata verticalmente tra chi accarezza l'idea di andarsene e chi vuole fermamente restare. «Vi sembrerà clamoroso, ma finanche Lotti non seguirebbe Renzi fuori dal Pd», scandisce serio serio Giacomelli, quello dell'ukase a Minniti («o decidi in poche opre o provvediamo altrimenti»).

I renziani si riuniscono oggi per decidere il da farsi e chi candidare alle primarie: il nome di Guerini non esiste, al solo ipotizzarlo l'interessato mette mano alla pistola («Uno come Guerini lo candidi per vincere il congresso, non per fare da bandiera», spiegano nella cerchia ristretta). Di nomi ce ne sarebbero vari, qualcuno ha anche ipotizzato quello di Ceccanti, «ma io non sono un politico, sono un tecnico», si schermisce lui, costituzionalista di battaglia sovente preso di mira dai grillini. «Non è una grande trovata quella di uscire dal Pd per poi allearsi, si è visto come è andata con Bersani», spiega Enrico Morando, il capo della pattuglia liberal tra i più convinti a restare.

In questa situazione, per Zingaretti la strada appare ormai in discesa libera. Lui si muove ormai da leader in pectore, al punto che ha proposto, se diventa segretario, di nominare Gentiloni presidente del partito, offrendo poi a Calenda il posto di capolista alle Europee. Il quale Calenda, nel ginepraio dem attuale, secondo altre voci starebbe lavorando a un raggruppamento lib assieme a Bentivogli e a Taradash, in collegamento con +Europa di Bonino.
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