Pd, Renzi lancia il Congresso
La minoranza: «Così è scissione»

Pd, Renzi lancia il Congresso La minoranza: «Così è scissione»
di Diodato Pirone
Lunedì 20 Febbraio 2017, 08:27
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L’Assemblea del Pd ha fornito pochissime notizie in chiaro, seminascoste dalla guerra delle parole (alcune peraltro d’alto profilo tali da dar senso a uno spettacolo per certi aspetti surreale) fra renziani e antirenziani. I fatti accaduti nella giornata di ieri sono due: il segretario del Pd Matteo Renzi ha formalizzato le proprie dimissioni e i Democrat hanno avviato il Congresso. Domani la Direzione (per statuto) dovrebbe decidere le date e altri dettagli come le commissioni di garanzia e quant’altro. Se in queste ore non si raggiungerà un accordo, le primarie dovrebbero tenersi domenica 9 aprile, altrimenti saranno spostate a fine aprile o all’inizio di maggio.

All’Assemblea, Renzi apre il suo intervento con una bordata sulla minoranza: «Io non accetto che qualcuno pensi di avere il copyright della parola sinistra. Anche se non canto bandiera rossa penso che il Pd abbia un futuro che non è quello che altri immaginano». E poi delude le aspettative della minoranza sul rinvio dell’assise: «Se non si fa il congresso diventiamo come gli altri, il Pd si basa sui voti e non sui veti, il congresso è l’alternativa al modello Casaleggio o al modello Arcore». Poi replica al pressing dei dissidenti: «La scissione ha le sue ragioni che la ragione non conosce. La nostra responsabilità è verso il Paese e quelli che stanno fuori. Adesso basta: si discuta oggi ma ci si rimetta in cammino. Non possiamo continuare a stare fermi a discutere al nostro interno», dice all’assemblea Pd. «Scissione è una delle parole peggiori - aggiunge il segretario dimissionario - peggio c’è solo la parola ricatto, non è accettabile che si blocchi un partito sulla base dei diktat della minoranza». Poi l’affondo finale, che gela la minoranza: «Avete il diritto di sfidarci, ma non avete il diritto di eliminarci».

E la scissione? Già, anche ieri la scissione non è partita. Tanto che intorno alle 21 la testata HuffingtonPost.it, non sospettabile di simpatie renziane, titolava proprio così: «Neanche oggi l’annuncio».

Eppure poche ore prima - a breve distanza dalla chiusura della lunga Assemblea - erano stati i tre candidati della minoranza, Michele Emiliano, Enrico Rossi e Roberto Speranza, a scrivere in un comunicato la parola “scissione” addebitandola al segretario. «È ormai chiaro che è Renzi ad aver scelto la strada della scissione assumendosi una responsabilità gravissima». La prova? Secondo Speranza, Rossi ed Emiliano di fronte al «generoso tentativo unitario» della minoranza il segretario non avrebbe neanche replicato in sede di Assemblea. Ma in serata il lavoro dei pontieri va a segno: la minoranza si prende ancora 48 ore di tempo prima di decidere lo strappo definitivo, in attesa di segnali di apertura dal Nazareno. 

Resta il fatto che ieri nessuno ufficialmente ha reso noto il nome della nuova formazione né la nascita dei gruppi parlamentari autonomi (che garantiscono anche entrate economiche). Sempre ufficialmente si sa che né Speranza, né Rossi, parteciperanno alla direzione mentre Emiliano, che come Rossi è presidente di Regione e dunque è interessato a mantenere un equilibrio politico anche nella propria Giunta, continua a tenere aperto un canale di mediazione.

Proprio Emiliano era stato protagonista nel pomeriggio, in piena Assemblea, di un intervento sorprendente, tutto giocato su toni pacati e conciliatori («Ho fiducia nel segretario»; «Si soffre moltissimo davanti ad una platea meravigliosa») nel quale aveva negato di aver chiesto a Renzi nei giorni scorsi di non candidarsi al Congresso.
Sul piano del marketing o, se si preferisce, del confronto dialettico l’intervento di Emiliano è stata una delle poche frecce scoccate dal fronte antirenziano. Bersani è intervenuto nel pomeriggio da una trasmissione tv mentre le minoranze si sono fatte rappresentare da Guglielmo Epifani, che ha ricordato i molti errori del governo Renzi senza presentare una piattaforma programmatica propria, affiancato da un pregevole intervento di Walter Tocci.
La regia renziana dell’evento è stata molto calibrata. Spazio ai mediatori come Andrea Orlando e Cesare Damiano. Molto spazio agli interventi dei padri del Partito Democratico (Walter Veltroni, Franco Marini, Piero Fassino) provenienti dai Democratici di Sinistra. Ed è intervenuta anche Teresa Bellanova, ex sindacalista Cgil oggi al ministero dello Sviluppo, per rivendicare «d’aver lasciato in Italia le fabbriche di lavatrici Electrolux destinate alla Turchia». Anche la relazione introduttiva di Renzi è stata infarcita di citazioni dei padri del Pd per sottolineare la pretestuosità della scissione. «Peggio della scissione c’è solo il ricatto e io - ha detto Renzi - ho pensato a rinunciare alla ricandidatura ma poi ho deciso altrimenti per non tornare indietro».

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