Pd, avanti con il congresso
passa la linea del segretario Renzi

Pd, avanti con il congresso passa la linea del segretario Renzi
di Paolo Mainiero
Martedì 14 Febbraio 2017, 09:02 - Ultimo agg. 16:02
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«Avete chiesto il congresso, andiamo». È passata la linea di Matteo Renzi, la direzione del Pd ha approvato a grande maggioranza (107 sì; 12 no; 5 astenuti) l’ordine del giorno che invita il presidente del partito Matteo Orfini a convocare l’assemblea (dove il leader formalizzerà le dimissioni) per avviare l’iter della fase congressuale. L’ordine del giorno è stato sottoscritto da tutte le componenti della maggioranza: renziani, Areadem di Dario Franceschini e Piero Fassino, Giovani turchi di Orfini, Sinistra è cambiamento di Maurizio Martina. Non ha partecipato al voto il ministro della Giustizia Andrea Orlando che aveva sostenuto la necessità di una conferenza programmatica da tenersi prima del congresso, rilevando il timore che le primarie possano trasformarsi nella «sagra dell’anti-politica». Non è escluso che Orlando si sia smarcato per candidarsi come nome unitario della sinistra e sfidare Renzi alla segreteria. La direzione del Pd non ha votato il documento firmato, tra gli altri, da Michele Emiliano e Roberto Speranza, nel quale si chiedeva il sostegno al governo Gentiloni fino alla scadenza della legislatura e il congresso a partire da giugno (con primarie tra ottobre e novembre), svolgendo nel frattempo una conferenza programmatica. Orfini ha valutato di non mettere entrambi i documenti in votazione, in quanto antitetici tra loro: il via libera all’uno, avrebbe automaticamente escluso l’altro. «La direzione si prepara a votare la fiducia al governo, quindi stiamo attenti a cosa si mette al voto», ha ammonito Fassino. Una lettura opposta a quella data dalla minoranza che invece legge nella scelta di non votare anche il suo ordine del giorno la volontà di Renzi di tenersi le mani libere quando si tratterà di staccare la spina al governo.
 


La resa dei conti nel Pd arriva a un punto cruciale e il rischio di una scissione non è scongiurato. Pierluigi Bersani ha risposto con un laconico «vedremo» a chi gli chiedeva cosa intendesse fare la minoranza e alla domanda esplicita su una scissione l’ex segretario se l’è cavata con un lapidario «grazie». L’assemblea si terrà già nel prossimo fine settimana, il congresso dovrebbe tenersi entro fine aprile. «Si chiude un ciclo», ha detto Renzi aprendo la direzione alla quale hanno partecipato sia il presidente del consiglio Paolo Gentiloni sia (fatto inedito, in quanto non iscritto al Pd) il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Una presenza voluta personalmente da Renzi per mettere in chiaro la linea del Pd sulla possibilità (adombrata dal ministro ma subito rientrata) di ritoccare le accise sulla benzina. «Non aumentare le tasse è da parte nostra un principio di serietà», ha precisato l’ex premier. Renzi è andato avanti diritto. «C’è un limite a tutto», ha detto, ricordando come nelle ultime settimane la minoranza abbia più volte cambiato idea e posizione. «Va messo un punto. De Luca ha detto che siamo dei masochisti, io non posso essere sadico. Un ennesimo rinvio non sarebbe compreso neanche dai nostri. Se qualcuno ha paura di confrontarsi con la propria gente lo dica», ha chiarito il segretario. Renzi ha lasciato in sospeso il tema, delicato, della data delle elezioni. La minoranza lo ha incalzato. «Propongo - ha detto Bersani - che non solo diciamo che si vota nel 2018, ma che garantiamo una conclusione ordinaria e normale della legislatura». Nella prospettiva del segretario restano sempre le elezioni anticipate a giugno (o al massimo a settembre) ma ieri in direzione non si sbilanciato. Anzi, ha precisato che sulla data delle elezioni «dico che ne sto fuori non in modo tattico ma per convinzione» e «se qualcuno vorrà utilizzare il congresso per dare la linea sulle elezioni, lo faccia. Io lo ritengo irrispettoso verso il presidente della Repubblica, il governo e i parlamentari».

La minoranza non s’aspettava un esito diverso. La scissione resta un orizzonte possibile e l’assemblea sarà il bivio decisivo. Michele Emiliano, Roberto Speranza ed Enrico Rossi, tre dei candidati alla segreteria, sono intervenuti in direzione per chiedere a Renzi di fare con calma, per permettere un confronto «vero» e non una «conta» delle tessere, una gazebata in cui si votano le «figurine» dei diversi candidati. Si è rivisto, dopo anni di assenza, anche Massimo D’Alema. I bersaniani hanno rivendicato di aver tenuto un atteggiamento il più possibile dialogante, ma con scarsi risultati. «La tua diga alla crisi non regge più», ha detto Roberto Speranza, che ha incalzato Renzi a indicare la data delle elezioni e ha sostenuto la proposta di Orlando di una conferenza programmatica. «Io ho provato a non interrompere il filo. Ma il filo è sottile. Farò di tutto per non romperlo ma la responsabilità è soprattutto nelle tue mani», ha aggiunto Speranza. La tensione è alta. Michele Emiliano ieri ha annunciato la sua candidatura. «È una cosa che sento di fare, necessaria». Il governatore della Puglia ha proposto il congresso ad autunno, con il voto a febbraio 2018. «Un congresso ad aprile senza conoscere la legge elettorale, senza sapere quante sezioni sono commissariate e con la Pasqua in mezzo è una di quelle cose che fa rischiare la scissione», ha avvertito Emiliano, raccontando al segretario quanto abbia deluso pure uno come lui che lo aveva sostenuto nel 2013. Ormai, anche i rapporti personali sono andati, si è arrivati a rinfacciarsi accuse e insulti.
La resa dei conti è appena agli inizi.

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