Mattarella: «Mi auguro un'ampia partecipazione al voto, ho fiducia nei giovani nati nel 1999»

Mattarella: «Mi auguro un'ampia partecipazione al voto, ho fiducia nei giovani nati nel 1999»
Domenica 31 Dicembre 2017, 20:35 - Ultimo agg. 2 Gennaio, 08:45
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Le elezioni si avvicinano e il voto del 4 marzo deve essere visto come «una pagina bianca»: ora la penna passa prima agli elettori, anche ai giovani diciottenni che votano per la prima volta. E alle forze politiche che devono riempire di «contenuti realistici» i programmi elettorali superando «la trappola dell'eterno presente», obbligati a recuperare «l'orizzonte del futuro».

Sergio Mattarella compare puntualissimo alle 20.30 sugli schermi degli italiani dallo studio «alla vetrata», quello famoso per le consultazioni sulla formazione dei nuovi governi, quasi a voler rimarcare il taglio istituzionale del suo intervento. Non è infatti un discorso di routine per il presidente della Repubblica che per la prima volta nel suo settennato si trova a dover parlare agli italiani a Camere sciolte, all'interno di una campagna elettorale che si annuncia incandescente. «Non sarò io a dettare l'agenda», chiarisce subito Mattarella in un discorso brevissimo di appena 10 minuti, conscio che qualunque parola di troppo sarebbe letta come un'entrata a gamba tesa nel dibattito politico. Per questo vola alto e richiama i cittadini ad uscire dal torpore, a non avere paura del domani perché «le difficoltà sono superabili». A non cadere «preda del risentimento» e soprattutto a partecipare tutti al voto perché le elezioni sono «il vertice assoluto della democrazia».


 



Alle forze politiche chiede di più perché a loro «sono affidate le nostre speranze»: Basta ciondolare «nella sospensione del tempo, ora occorre preparare il domani». Il capo dello Stato non vive con lo sguardo rivolto al passato, del quale pure bisogna nutrirsi (ad esempio con le proteine della Costituzione), ma cerca di scuotere una politica che sembra indietro rispetto alla folle corsa dei tempi: «bisogna interpretare, e comprendere, le cose nuove.

La velocità delle innovazioni è incalzante; e ci conduce in una nuova era, che già cominciamo a vivere». Mattarella dall'alto dei suoi 76 anni pizzica il pachiderma, lo invita a non arroccarsi sul rassicurante presente: serve «coraggio perché l'autentica missione della politica consiste proprio nella capacità di misurarsi con le novità, guidando i processi di mutamento». Ma soprattutto, e questo è il cuore del ragionamento del presidente, i partiti hanno «il dovere di fornire ai cittadini proposte adeguate, proposte realistiche e concrete». Un dovere «fortemente richiesto dalla dimensione dei problemi del nostro Paese».

Niente demagogia, in sostanza. E tra i problemi quello del lavoro che manca resta «il primo, ed è certamente la più grave questione sociale» che chiunque vincerà le elezioni dovrà affrontare. «Anzitutto per i giovani, ma non soltanto per loro», aggiunge. C'è tanto altro nel seppur breve discorso di Mattarella che non manca di cucire presente e passato per ricordare a tutti le conquiste della storia, il benessere portato dall'Unione europea. E lo fa parlando dei «ragazzi del '99. Quei ragazzi di cento anni fa che morirono nelle trincee per l'Italia e quei ragazzi di oggi che per la prima volta si apprestano al voto in un clima di pace e libertà senza precedenti per l'Europa. In questi mesi di un secolo fa - ricorda il presidente - i diciottenni di allora - i ragazzi del '99 - vennero mandati in guerra. Molti vi morirono. Oggi i nostri diciottenni vanno al voto, protagonisti della vita democratica. Propongo questa riflessione perché, talvolta, corriamo il rischio di dimenticare che, a differenza delle generazioni che ci hanno preceduto, viviamo nel più lungo periodo di pace del nostro Paese e dell'Europa. Non avviene lo stesso in tanti luoghi del mondo.


IL TESTO COMPLETO
«Care concittadine e cari concittadini, un saluto cordiale e un grande augurio. A tutti coloro che sono in Italia e agli italiani che si trovano all'estero.
Tra poco, inizierà il 2018.
Settant'anni fa, nello stesso momento, entrava in vigore la Costituzione della Repubblica, con il suo patrimonio, di valori, di principi, di regole, che costituiscono la nostra casa comune, secondo la definizione di uno dei padri costituenti.
Su questi valori, principi e regole si fonda, e si svolge, la nostra vita democratica. Al suo vertice, si colloca la sovranità popolare che si esprime, anzitutto, nelle libere elezioni.
Come sapete ho firmato il decreto che conclude questa legislatura del Parlamento e, il 4 marzo prossimo, voteremo per eleggere le nuove Camere.
E' stato importante rispettare il ritmo, fisiologico, di cinque anni, previsto dalla Costituzione.
Insieme ad altri esiti positivi, andremo a votare con una nuova legge elettorale approvata dal Parlamento, omogenea per le due Camere.
Le elezioni aprono, come sempre, una pagina bianca: a scriverla saranno gli elettori e, successivamente, i partiti e il Parlamento. A loro sono affidate le nostre speranze e le nostre attese. 
Mi auguro un'ampia partecipazione al voto e che nessuno rinunzi al diritto di concorrere a decidere le sorti del nostro Paese.
Ho fiducia nella partecipazione dei giovani nati nel 1999 che voteranno per la prima volta.
Questo mi induce a condividere con voi una riflessione.
Nell'anno che si apre ricorderemo il centenario della vittoria nella Grande guerra e la fine delle immani sofferenze provocate da quel conflitto.
In questi mesi di un secolo fa i diciottenni di allora - i ragazzi del '99 - vennero mandati in guerra, nelle trincee. 
Molti vi morirono.
Oggi i nostri diciottenni vanno al voto, protagonisti della vita democratica.
Propongo questa riflessione perché, talvolta, corriamo il rischio di dimenticare che, a differenza delle generazioni che ci hanno preceduto, viviamo nel più lungo periodo di pace del nostro Paese e dell'Europa.
Non avviene lo stesso in tanti luoghi del mondo.
Assistiamo, persino, al riaffacciarsi della corsa all'arma nucleare.
Abbiamo di fronte, oggi, difficoltà che vanno sempre tenute ben presenti. Ma non dobbiamo smarrire la consapevolezza di quel che abbiamo conquistato: la pace, la libertà, la democrazia, i diritti.
Non sono condizioni scontate, né acquisite una volta per tutte. Vanno difese, con grande attenzione, non dimenticando mai i sacrifici che sono stati necessari per conseguirle.
Non possiamo vivere nella trappola di un eterno presente, quasi in una sospensione del tempo, che ignora il passato e oscura l'avvenire, così deformando il rapporto con la realtà.
La democrazia vive di impegno nel presente, ma si alimenta di memoria e di visione del futuro.
Occorre preparare il domani. Interpretare, e comprendere, le cose nuove. La velocità delle innovazioni è incalzante; e ci conduce in una nuova era, che già cominciamo a vivere.
Un'era che pone anche interrogativi sul rapporto tra l'uomo, lo sviluppo e la natura. Basti pensare alle conseguenze dei mutamenti climatici, come la siccità, la limitata disponibilità di acqua, gli incendi devastanti.
Si manifesta, a questo riguardo, una sensibilità crescente, che ha ricevuto impulso anche dal magistero di Papa Francesco, al quale rivolgo gli auguri più fervidi.
Cambiano gli stili di vita, i consumi, i linguaggi. Mutano i mestieri, e la organizzazione della produzione. Scompaiono alcune professioni; altre ne appaiono.
In questo tempo, la parola "futuro" può anche evocare incertezza e preoccupazione. Non è stato sempre così. Le scoperte scientifiche, la evoluzione della tecnica, nella storia, hanno accompagnato un'idea positiva di progresso.
I cambiamenti, tuttavia, vanno governati per evitare che possano produrre ingiustizie e creare nuove marginalità.
L'autentica missione della politica consiste, proprio, nella capacità di misurarsi con queste novità, guidando i processi di mutamento. Per rendere più giusta e sostenibile la nuova stagione che si apre. 
La cassetta degli attrezzi, per riuscire in questo lavoro, è la nostra Costituzione: ci indica la responsabilità nei confronti della Repubblica e ci sollecita a riconoscerci comunità di vita.
L'orizzonte del futuro costituisce, quindi, il vero oggetto dell'imminente confronto elettorale.
Il dovere di proposte adeguate - proposte realistiche e concrete - è fortemente richiesto dalla dimensione dei problemi del nostro Paese. 
Non è mio compito formulare indicazioni.
Mi limito a sottolineare, ancora una volta, che il lavoro resta la prima, e la più grave, questione sociale. Anzitutto per i giovani, ma non soltanto per loro. E' necessario che ve ne sia in ogni famiglia. Al tempo stesso va garantita la tutela dei diritti e la sicurezza, per tutti coloro che lavorano.
Tanti nostri concittadini vivono queste festività in condizioni di disagio, per le conseguenze dei terremoti, che hanno colpito larga parte dell'Italia centrale. A loro desidero far sentire la vicinanza di tutti.
Gli interventi per la ripresa e la ricostruzione proseguono e, talvolta, presentano difficoltà e lacune. L'impegno deve continuare in modo sempre più efficiente fino al raggiungimento degli obiettivi.
Esprimo solidarietà ai familiari delle vittime di Rigopiano e della alluvione di Livorno; ai cittadini di Ischia, che hanno patito gli effetti di un altro sisma. E a tutti coloro che, nel corso dell'anno, hanno attraversato momenti di dolore.
Un pensiero particolare va ai nostri concittadini vittime dell'attentato di Barcellona. Il loro ricordo, unito a quello delle vittime degli attentati all'estero degli anni precedenti, ci rammenta il dovere di mantenere la massima vigilanza nella lotta al terrorismo.
Riguardo a questo impegno, vorrei ribadire la riconoscenza nei confronti delle nostre Forze dell'Ordine, dei nostri Servizi di informazione, delle Forze Armate, ripetendo le stesse parole di un anno fa: "Anche nell'anno trascorso hanno operato, con serietà e competenza, perché in Italia si possa vivere con sicurezza rispetto a quel pericolo, che esiste ma che si cerca di prevenire".
Si è parlato, di recente, di un'Italia quasi preda del risentimento.
Conosco un Paese diverso, in larga misura generoso e solidale. Ho incontrato tante persone, orgogliose di compiere il proprio dovere e di aiutare chi ha bisogno. Donne e uomini che, giorno dopo giorno, affrontano, con tenacia e con coraggio, le difficoltà della vita e cercano di superarle.
I problemi che abbiamo davanti sono superabili. Possiamo affrontarli con successo, facendo, ciascuno, interamente, la parte propria. Tutti, specialmente chi riveste un ruolo istituzionale e deve avvertire, in modo particolare, la responsabilità nei confronti della Repubblica.
Vorrei rivolgere, in chiusura, un saluto a quanti, questa sera, non stanno festeggiando perché impegnati ad assolvere compiti e servizi essenziali per tutti noi: sulle strade, negli ospedali, nelle città, per garantire sicurezza, soccorso, informazione, sollievo dalla sofferenza.
A loro, ringraziandoli, esprimo un augurio particolare.
Auguri a tutti e buon anno».


IL CONFRONTO
La tradizione del discorso di fine anno è stata rispettata dal Capo dello Stato con estrema concisione. Dieci minuti di discorso, che pongono gli auguri di fine 2017 tra quelli più brevi della storia del Quirinale, con un linguaggio sobrio, diretto e molto caldo. Il primato del discorso augurale più lungo spetta ad Oscar Luigi Scalfaro: 4.912 parole, poco meno di tre quarti d'ora, nel 1997. La palma d'oro degli auguri natalizi più brevi spetta invece a Luigi Einaudi: 148 parole nel 1950, neanche tre minuti. Lunghissimi i sermoni di Scalfaro nel '92, '93, '94, '95 e nel '98 , tutti abbondantemente oltre la mezz'ora, così come quello di Francesco Cossiga nel 1990 e di Sandro Pertini nel 1983, seduto davanti al camino e con la pipa in mano. Tra i dieci discorsi presidenziali di fine anno più lunghi si colloca anche quello di Giorgio Napolitano nel 2012, con 2601 parole. Sempre molto breve Luigi Einaudi: meno di tre minuti, a partire dal primo discorso di San Silvestro, nel 1949, ai primi vagiti della Repubblica. Poco prolissi anche Giovanni Gronchi e Giuseppe Saragat, di solito conciso Giovanni Leone, notoriamente mai più lungo di una ventina di minuti Carlo Azeglio Ciampi nei suoi auguri, sempre accompagnati dall'Inno di Mameli. Fino al messaggio tv di questa sera di Sergio Mattarella: 10 minuti e 5 secondi al cronometro.

LO STUDIO DELLA VETRATA
La poltrona di velluto cremisi è davanti e non dietro alla scrivania presidenziale dello studio della Vetrata, nel discorso per gli auguri di fine anno del Capo dello Stato Sergio Mattarella.
Un modo per significare una maggiore vicinanza agli italiani, così come le mani appoggiate in modo informale sulle ginocchia e un sorriso mite, che scompare nei momenti di forte commozione, come quello in cui il Presidente ricorda i ragazzi del '99, andati a morire in guerra. L'abat jour sulla scrivania settecentesca è accesa. Sul tavolo alle spalle di Mattarella le sue carte, ordinate. E sullo sfondo la consolle dorata e la composizione natalizia e tricolore: anturium rossi, fiori bianchi e foglie verdi. Il Quirinale è una casa addobbata per le feste, come quelle degli italiani, per questo messaggio in diretta tv che il Capo dello Stato ha voluto nello studio alla vetrata, dove si svolgono le consultazioni dopo le elezioni, a sottolineare il momento di grande rilievo istituzionale, dopo lo scioglimento delle Camere. Gli auguri di Mattarella non si prolungano oltre i dieci minuti e vengono preceduti dalle bellissime immagini esterne del Quirinale: i corazzieri, la stella natalizia piena di luci nel cortile d'onore, le bandiere italiana, europea e del Presidente che sventolano nella notte sul torrino. Come sempre quando il Presidente è in casa, nella casa di tutti gli italiani. Le stesse tre bandiere che sono sullo sfondo nello studio, nelle riprese televisive del discorso, con le telecamere che scorrono da destra a sinistra, si fanno più vicine e più lontane, per dare movimento e naturalezza al discorso di Mattarella. Che prima degli auguri sprona l'Italia: «Occorre preparare il domani».

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