Lotta ai clan,
​governo ci sei?

di Isaia Sales
Sabato 7 Luglio 2018, 09:47
5 Minuti di Lettura
Nell’Italia delle mafie e della corruzione, il ministro degli Interni, a sentire le sue dichiarazioni in questo mese di governo, ritiene che il principale problema dell’ordine pubblico siano solo gli immigrati. Lo ha ribadito con forza anche Pontida. Non ricordo un’altra epoca politica in cui ci si stata una così accentuata lontanza tra le parole di un responsabile del Viminale e la situazione dell’ordine pubblico nei vari territori del Paese. Che il problema dei migranti sia una seria preoccupazione politica italiana, europea e mondiale, è fuori di ogni dubbio, ma dal punto di vista dell’ordine pubblico non rappresenta la sola priorità. 
Un leader deve distinguere la sua visione politica dai compiti che è chiamato a svolgere dal governo, ancora di più se assume l’incarico delicatissimo di ministro degli interni. E Salvini da un mese e più a questa parte la distinzione non l’ha ancora dimostrata. Per cui ci troviamo in una situazione paradossale: in Parlamento tutti si sono alzati durante il discorso del premier Conte al primo accenno alla lotta alle mafie gridando «fuori le mafie dallo Stato», salvo poi ad applicare solo l’altra strategia «fuori gli immigrati dall’Italia». Allora la domanda, forse un po’ provocatoria, è questa: si può fare seriamente la lotta alle mafie con un ministro degli Interni che ha altro per la testa? 
Anche durante il decennio cruciale del terrorismo rosso e nero (dall’inizio degli anni settanta all’inizio degli anni ottanta del Novecento) ci fu una drammatica «distrazione» dal problema mafioso, permettendo a due criminalità fino ad allora secondarie, la camorra e la ‘ndrangheta, di assurgere tra le criminalità più potenti in Italia e a livello internazionale, scavalcando nei decenni successivi per importanza e affari anche la mafia siciliana. La distrazione aveva, all’epoca, qualche motivazione: la tragica catena di morti culminata con l’assassinio di Aldo Moro, con decine e decine di vittime tra giornalisti, magistrati, imprenditori, dirigenti di aziende e politici locali, regionali e nazionali. Gli anni ’70, cioè gli anni della massima presenza del terrorismo, rappresentano anche un decennio di totale immobilismo contro la mafia, la camorra e la ’ndrangheta. Anche volendo capire le difficoltà di una lotta su due fronti, quello mafioso e quello terroristico, si è trattato di una imperdonabile leggerezza degli apparati di sicurezza. Ad esempio, nel periodo 1970-1988, la ‘ndrangheta ha effettuato ben 207 sequestri di persone, di cui 121 in Calabria e gli altri nel Nord dell’Italia, accumulando risorse tali da consentirle di partecipare da protagonista ai più importanti lavori pubblici nella regione di appartenenza, per poi ritagliarsi un ruolo da protagonista nel traffico internazionale di stupefacenti. Stessa sottovalutazione ha accompagnato le camorre napoletane e campane. Incredibile il vantaggio dato dagli inquirenti nel considerare il contrabbando di sigarette un’attività tutto sommato da avvicinare all’arte del sopravvivere piuttosto che a una vera e propria impresa criminale. E’ con il contrabbando di sigarette che le camorre riprendono un loro ruolo nello scacchiere nazionale e internazionale del crimine, si introducono anch’esse nel business della droga e si ritrovano con una notevole accumulazione di capitali a ridosso del terremoto che colpì la Campania nel 1980, così da svolgere un ruolo centrale nella ricostruzione.
Ecco, in sintesi, cosa vuol dire distrarsi su questi temi. In Italia il decennio della disattenzione verso camorre e ‘ndrangheta lo abbiamo pagato a caro prezzo
Eppure è già capitato che un leghista diventasse il responsabile del Viminale. E non se l’è cavata affatto male. Roberto Maroni ha lasciato tracce significative della sua incisiva azione contro i clan mafiosi, in particolare contro quello dei Casalesi.
Ma se Maroni aveva dato priorità alla lotta ai clan nel Meridione, Salvini si comporta come ministro degli interni come se l’Italia avesse già risolto e buttato alle spalle il problema delle mafie. Chissà se il capo leghista ha letto la relazione finale della Commissione parlamentare antimafia presentata da Rosy Bindi e votata anche dai suoi parlamentari? C’è un punto delicatissimo di questa relazione che un ministro degli interni del Nord dovrebbe valutare attentamente (e che purtroppo neanche Maroni volle fare): l’espansione delle mafie nell’economia del Centro-Nord dell’Italia a livelli mai raggiunti nel recente passato. «Anche se alcune aree sono risultate più accoglienti e attrattive di altre, nessun territorio settentrionale può essere più considerato immune», è scritto con nettezza in quel documento.
I casi di imprenditori in affari con le mafie, per ragioni di competitività delle loro aziende, sono tanti e non posso più rientrare nella definizione di «accidente» ma in quello di «sostanza». Ed è impressionante la disponibilità di molti imprenditori ad entrare in relazioni con i mafiosi pur sapendo con chi hanno a che fare, sulla base di semplici valutazioni di convenienza.
La domanda che si fa la Commissione parlamentare antimafia è la seguente: sarebbe stato possibile un ruolo tanto espansivo delle mafie nell’economia del Centro-Nord senza la presenza di un campo così esteso di economia illegale o di competizione basata anche sull’aggiramento delle leggi?
Molti responsabili di procure del Centro-Nord hanno segnalato alla Commissione antimafia «i rapporti di reciproca convenienza che ormai caratterizzano l’infiltrazione della criminalità organizzata nel sistema delle imprese legali. Sono gli imprenditori a cercare il contatto con esponenti della ‘ndrangheta nell’illusione di un rapporto temporaneo, finalizzato a superare una crisi di liquidità, a recuperare crediti di ingente valore o fronteggiare la concorrenza e che ben presto si ritrovano con l’azienda “spolpata” o scalata dai mafiosi. Al nord le mafie hanno trovato la disponibilità e la complicità di imprenditori e professionisti locali e un terreno di illegalità economica diffuso».
Emerge insomma «un’evidente liaison tra la criminalità economica e la criminalità mafiosa, liaison che nasce proprio sul territorio, e i meccanismi utilizzati sono i tipici meccanismi della criminalità economica: evasione fiscale, frodi fiscali, corruzioni, riciclaggio». E nonostante tutto ciò si registra un numero limitato di denunce, perché è molto labile il confine tra silenzio di paura e silenzio di complicità. Come nel Sud.
Insomma non si capirebbe niente del successo delle mafie al Nord senza indagare su di una parte dell’economia centro-settentrionale, che spesso tratta le mafie come dei normali agenti economici con cui rapportarsi. Una parte dell’economia della zona più sviluppata del Paese si sta mettendo nella lunghezza d’onda delle mafie. In che misura ciò sta avvenendo non è possibile stabilirlo. E non sono persone di colore quelle che dirigono il tutto, dal lato della domanda e dal lato dell’offerta criminale. Sono italiani, meridionali, centro-settentrionali. Su questo aspetto a un ministro degli interni del Nord non può essere consentita alcuna distrazione.
© RIPRODUZIONE RISERVATA