Liliana Segre: «Io, cacciata da scuola a 8 anni. La memoria contro l'indifferenza»

Liliana Segre: «Io, cacciata da scuola a 8 anni. La memoria contro l'indifferenza»
di Claudia Guasco
Sabato 20 Gennaio 2018, 09:02
3 Minuti di Lettura
Liliana Segre ha la risata cristallina di una ragazza. «Mi chiamano senatrice, ma lo sono da così poco tempo che non me ne rendo conto». E adesso? «Non posso darmi altra importanza che quella di essere un araldo, una persona che racconta ciò di cui è stata testimone». Dell'abisso dell'olocausto, vissuto da dietro il filo spinato del campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau dove è stata deportata quando aveva tredici anni.

Senatrice, come ha saputo della sua investitura?
«È stato un fulmine a ciel sereno. Mi sento una donna qualunque, una nonna, e non ho mai pensato a tutto questo. Sapere di essere tra i senatori a vita è un onore e una grande responsabilità. Ero già in contatto con il Quirinale perché il 25 gennaio sarò a Roma per la Giornata della memoria, stamane mi ha telefonato il presidente Sergio Mattarella, fino a oggi l'avevo visto solo in televisione, e mi ha detto che aveva deciso questa nomina. Non sapevo che i senatori a vita fossero solo cinque, sono sbalordita».

Come si trasmette la memoria in un mondo veloce ed effimero?
«Io non sono così ottimista da pensare che il mondo non sia indifferente e anzi pronto a negare il passato per mille motivi, perché fa comodo in molti casi. Adesso interessa il subito, non mi illudo. Anzi, sono abbastanza pessimista. Però è la mia missione, me la sono data quasi trent'anni fa dopo quarantacinque anni di silenzio. Avevo quindici anni quando sono tornata viva per caso, unica sopravvissuta della mia famiglia, e non ho parlato fino a sessant'anni. Poi il tempo mi ha insegnato tante cose, i ricordi sono diventati parte di me e ho deciso che non potevo più tacere. Se mi fermo a pensare mi ritengo una goccia nel mare, ma vado avanti perché il mare è fatto da tante gocce».

La preoccupano i venti nazionalisti che soffiano sull'Europa?
«Sono molto più preoccupata per l'indifferenza generale che non di personaggi politici esagitati. Quando è stato fatto memoriale della shoah al binario 21 della stazione Centrale a Milano mi sono imposta con fermezza affinché sul grande muro d'ingresso si scrivesse la parola indifferenza a caratteri cubitali. Perché e stata più forte della violenza».

L'Italia è un Paese razzista?
«Ci sono delle forme di razzismo connaturate nell'anima di alcune persone, che hanno paura anche del vicino di casa. Sono delle spine nel fianco di un'Italia che invece si è comportata in modo eccezionale rispetto ad altre nazioni nei confronti di tanta povera gente che è arrivata. L'Italia di oggi è molto diversa dall'Italietta delle leggi razziali promulgate ottant'anni fa, sono cambiati i costumi, le abitudini, il modo di pensare. Però il ricordo di essere stata espulsa da scuola a otto anni è stato un trauma che ha segnato tutta la mia esistenza».

La sua vita è testimonianza di libertà. Lei è stata una donna libera?
«Io sono stata molto fortunata. Tornata dal lager ero una povera ragazza che non sapeva comunicare con nessuno, ero diversa e la gente mi trattava diversamente. Poi a diciott'anni mi è successa una cosa bellissima: ho incontrato l'amore e con mio marito siamo stati molti innamorati, una coppia che si teneva per mano anche da vecchi. Abbiamo avuto una bellissima famiglia, tre figli e tre nipoti. Purtroppo dieci anni fa mio marito è morto, ma io sono serena per l'amore la felicità che ho avuto».
© RIPRODUZIONE RISERVATA