La rivoluzione
a due piazze

di Paolo Macry
Mercoledì 11 Aprile 2018, 08:37 - Ultimo agg. 09:32
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Sembra il capolavoro alla rovescia di un sindaco. Spaccare la comunità che governa. È quel che succederà il 14 aprile, quando si confronteranno idealmente due piazze di napoletani. Nella prima coloro che risponderanno all’appello di Luigi de Magistris a manifestare contro la Magistratura contabile e la sua richiesta di pagare le sanzioni relative ai debiti maturati in anni precedenti all’attuale amministrazione, e in gran parte già accollati dallo Stato. Nella seconda coloro, numerose associazioni civiche e partiti di sinistra e di destra, dal Pd a Forza Italia, che protesteranno contro il sindaco e le sue politiche pubbliche, ricordando come dal 2011 a oggi, e cioè nei sette anni di sindacatura demagistrisiana, il disavanzo dei conti di palazzo San Giacomo sia passato da ottocento milioni agli attuali due miliardi e mezzo. Una spaccatura che non sembra prevedere alcuna possibilità di dialogo, malgrado un appello in questo senso sia stato sottoscritto ieri dalle tre maggiori sigle sindacali. E, per di più, una spaccatura che avviene in significativa coincidenza con la grave crisi delle aziende municipali, il collasso dei trasporti, la paralisi degli interventi di manutenzione e delle opere viarie. E, non ultimo, il precipitare della sicurezza pubblica, a seguito di un improvvido laissez-faire che ha progressivamente legittimato in questa città tutta una gamma di comportamenti aggressivi, intimidatori, illegali. Come insegna la sparatoria di via Chiatamone. 

Certo è che le due piazze sono un fenomeno unico nel Paese. Nulla del genere è accaduto e accade anche in città come Roma, dove pure il conflitto politico attorno all’amministrazione di Virginia Raggi è sempre stato particolarmente aspro. E non si tratta, spiace dirlo, di un caso.

È, piuttosto, la conseguenza estrema di una linea politica che sembra essersi costruita, fin dall’inizio, sul registro della divisività. Fin da quando, nell’ormai lontano 2011, cinto il capo di una bandana arancione, il neoeletto Luigi De Magistris promise al popolo in festa una rivoluzione che avrebbe ripulito Napoli dalla corruzione e dalle mafie. Intendendo che, prima di lui, Napoli era città di corruzione e di mafie.
Si trattava del primo assaggio di una strategia comunicativa che ha costantemente insistito sull’individuazione dei nemici. Cioè sulla spaccatura della polis tra amici e nemici. E i nemici da additare al ludibrio delle folle (prima che arrivasse il turno di Renzi, o Draghi, o Salvini, o anche Trump, o Israele) sono stati anzitutto nemici interni. Coloro che in passato avevano amministrato la città. Le classi dirigenti che li avevano legittimamente sostenuti. E naturalmente i partiti che non lo assecondavano in consiglio comunale (pochi e incerti, peraltro). E poi, soprattutto, la società civile che osava mettere in dubbio i frutti della rivoluzione.

De Magistris ci ha ormai abituati a un linguaggio colorito, dannunziano, talvolta surreale. Il florilegio dei suoi tweet e dei suoi proclami su Facebook è fin troppo noto per farne qualche gustosa citazione (non ci sarebbe che l’imbarazzo della scelta). Ma l’ideologia divisiva è una cosa seria, anzi inquietante, come dimostra la storia recente e quella meno recente del Paese.

È un escamotage generalmente adottato da leader che preferiscono l’appello immediato al popolo rispetto alle modalità di una democrazia rappresentativa e consiliare. Dovrebbe essere evitato con grande cura da chi avesse realmente a cuore le ragioni di una comunità. De Magistris ne ha fatto invece una costante della propria azione politica. Ha assunto in qualità di sindaco e dunque come rappresentante di tutti i napoletani posizioni evidentemente di parte. Ha rifiutato ogni interlocuzione con i suoi critici della società civile. Ha preteso perciò di mettere ai margini della comunità politica di Napoli quanti non erano disposti al consenso. Una strategia temeraria, che contava di costruire la propria maggioranza sul silenzio imposto ad una normale dialettica politica e sulla stigmatizzazione (talvolta verbalmente violenta) di quanti proponevano una pubblica discussione del suo operato. Imponendo un pensiero unico che ha raccolto adesioni ideologiche in parte spontanee, in parte frutto di precise strategie di acquisizione del consenso. Per non dire degli interessi e micro-interessi economici che hanno tratto vantaggio dalle scelte amministrative di Palazzo San Giacomo

Il risultato è sotto gli occhi di tutti.
A Napoli, soltanto a Napoli, non esiste una agorà democratica e comunitaria. Esistono ormai due piazze.
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