La fermezza ora o mai più

di Eugenio Mazzarella
Martedì 21 Novembre 2017, 08:40
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Nichilismo esistenziale più o meno di lusso, come al Virgilio di via Giulia di Roma, o, come ai baretti di Napoli, in un melting pot di strati sociali i più diversi. A rischio «sballo» se vengono da Chiaia o dal Vomero, e a rischio apertamente delinquenziale se vengono da aree di disagio sociale.
C'è un'adolescenza o gioventù che avanza nella vita senza nessuna idea di bellezza dentro, che non sia la propria appetibilità da selfie, per le forme del suo sbocciare alla vita, caricate di segni e tatuaggi per esibire, e chiedere, «fuori», sulla superficie di sé, quello che sempre di meno c'è «dentro»; invasi dall'angoscia di dire «Io» a ogni costo a causadi un'identità e di un'interiorità sempre più labili. Anche a costo di una pistolettata. Usiamole queste parole: identità, interiorità. Non sono demodé; parlano di ciò che andrà ricostruito nelle prossime generazioni, se vogliamo dare loro un futuro che non sia solo un cammino sullo schermo di un noir patinato o smandrappato, o peggio ancora francamente asociale e criminale.
Cosa fare? Questa è la domanda. Innanzi tutto basta con i sociologismi giustificazionisti. Bisogna alzare il livello di «repressione» della devianza negli spazi pubblici, «luoghi» o «istituzioni». Se al Virgilio di Roma, o in altre scuole, c'è un bullismo organizzato che fa a scuola le prove generali, da «grandi», di un approccio agli altri paramafioso, o anche di mera sopraffazione, si ricorra e si ripristini se non c'è più all'espulsione per un anno da tutte le scuole statali. Ci penserà la famiglia «proteggente», che non ci ha pensato prima, a far capire ai «ragazzi» che «così non si fa». Basta con ottiche perdonistiche di «recupero», a scapito della deterrenza repressiva. Ed è grave che questo lassismo morale prima ancora che educativo alligni in ceti che alla società dovrebbero offrire, avendone tutti i mezzi, una funzione-guida, anche civica, e non solo l'arroganza del portafoglio di famiglia.
E per venire all'asocialità del divertimento notturno, dove si mischiano i ragazzi che escono da scuola e quelli che non ci vanno, bisogna coinvolgere nella deterrenza repressiva dell'asocialità giovanile l'economia che ci vive sopra. Perché è inutile girarci intorno: un certo modo di gestire, o di consentire da parte delle Amministrazioni e delle Istituzioni, la movida notturna è ormai uno «spaccio» di possibilità di morte offerte ai propri «clienti». È come far salire su un ottovolante i ragazzi senza cinture di sicurezza e sistemi di protezione. Ci vogliono soluzioni draconiane, niente mezze misure.
Tanto più che in questa zona franca dell'economia del disordine del divertimento notturno si stanno insinuando elementi di antagonismo ribellistico che ha profili di perversi di aberrante intimidazione sociale a chi sia fuori, per censo o anche solo valori ed educazione ricevuta, dall'emarginazione sociale. Se, come pare, sono vere le notizie dell'ultima ora che la sparatoria ai baretti è stata una specie di «stesa» per dimostrare chi è il vero «padrone» nella città, anche nelle sue zone «bene», allora la vicenda è ancora più inquietante. Allora in questo sfascio c'è da mettere in campo anche strumenti sociali preventivi generali, per frenare la destrutturazione della socialità cui è esposta l'identità dei nostri figli, ricchi e poveri. Purtroppo in una qualche misura vanno sottratti a una «famiglia» in disfacimento.
Si innalzi di corsa l'obbligo scolastico, con permanenza a scuola fino al pomeriggio, dove i ragazzi siano coinvolti in attività attrattive integrative della didattica, e in percorsi seri scuola-lavoro che gli «mettano in mano un mestiere», soprattutto a quelli che non vogliano o possano proseguire gli studi. Il miliardo appostato per l'evasione scolastica venga integrato e gestito nella prevenzione, con la presenza continuata nelle aule, abbattendo alla radice il recupero, e i suoi costi. I ragazzi in età scolare aiutiamoli a casa loro, cioè nelle scuole, non andiamo a riprenderli come profughi dalle strade. Basta con la mentalità del recupero individualizzato, che diventa di massa in un colabrodo dell'obbligo scolastico. E un mestiere a un ragazzo insegniamolo a scuola, non se è finito a Nisida. È l'efficienza dell'ordinaria funzione educativa quella che ci serve, non gli «esempi» che «tutti ce la possono fare». In questo approccio si intrufola ancora il verme solitario dell'individualismo delle soluzioni, che sta divorando le viscere della nostra società.
E infine, c'è da chiedersi se non sia stato un grave errore eliminare la leva obbligatoria. Andrebbe ripristinata per tutti, ragazzi e ragazze, come scuola di integrazione sociale e civismo, e se li si fa girare per l'Italia come alimento, sempre più necessario, del comune sentimento di appartenenza allo stesso Paese.
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