Intercettazioni, salta la stretta: le vite degli altri nel tritacarne

di Gaetano Insolera
Giovedì 28 Dicembre 2017, 09:09
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Nella convulsa fase di fine legislatura vede la luce il decreto legislativo «in materia di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni», in attuazione della parte dedicata a questo tema dalla legge delega, il cosiddetto pacchetto Orlando. Si può ironizzare sul fatto che la legge delega in questione, dedicata a «Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all'ordinamento penitenziario», nel suo complesso, ben poco corrisponda all'intitolazione dell'originario testo approvato dalla Camera dei deputati il 23 settembre 2015: infatti le modifiche avrebbero dovuto operare per il «rafforzamento delle garanzie difensive e la durata ragionevole dei processi, nonché all'ordinamento penitenziario per l'effettività rieducativa della pena». Ma ormai ci siamo abituati a un uso della legislazione penale poco attenta ai diritti civili fondamentali e alle loro garanzie, proiettata piuttosto a dare soddisfazione a contingenti istanze rigoristiche puntualmente interpretate e condotte dalla magistratura.

In questa vicenda poi ha forse giocato l'idea del ministro della Giustizia, rafforzatasi in coincidenza della sua salita sulla giostra dei possibili leader del suo tormentato partito: l'idea ambiziosa di presentarsi come il gran riformatore efficientista della scassata macchina della giustizia penale. Ecco il ricorso alla fiducia, ma anche, e soprattutto, l'intento di non scontentare anzitutto due puntelli fondamentali: lo spazio assegnato al cosiddetto diritto vivente (cioè la supremazia dell'interpretazione dei giudici sul testo della legge) e il preponderante potere della magistratura requirente. 

Ci troviamo in presenza di un paradigma (il fattore M: sinergia tra magistratura e media) tanto ben descritto da Mauro Calise a proposito della «democrazia del leader». La riforma delle intercettazioni esprime appieno questo intento.

A proposito delle garanzie difensive, quali erano le questioni sul tappeto poste dai quattro gatti affezionati ai fondamenti di un diritto penale liberale? L'uso abnorme dello strumento tradizionale - telefoni e captazioni ambientali le «intercettazioni a strascico» per dar corpo a sospetti, anziché in base a gravi indizi di reato e in ragione della loro indispensabilità per la prosecuzione di indagini già attivate da una notizia di reato, come parrebbe volere ancora il codice di procedura penale. A questo si sono poi aggiunte quelle con captatori informatici il troyan con enormi potenzialità invasive della riservatezza e, già prima della legge, autorizzate dalle Sezioni unite della Corte di cassazione.

Le «vite degli altri» messe a disposizione degli uffici di Procura: la legittimazione del troyan riuscì a mettere in allarme i professori di procedura penale e questa legge avrebbe dovuto quanto meno porre dei limiti precisi. Non mi sembra proprio che ciò sia avvenuto.

Si dirà che l'uso è sempre consentito solo per i reati più gravi (elencati dall'articolo 51, comma 3bis e 3quater del codice). Vero: ma una norma successiva, se da un lato ne vieta l'utilizzazione probatoria per reati diversi da quelli per cui è stata autorizzata la captazione, dall'altro deroga rispetto a una serie di ipotesi di reato ben più vasta - quelli per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza - quando le intercettazioni risultino indispensabili per l'accertamento dei delitti.

Da notare ancora la «semplificazione» per le intercettazioni, compreso l'utilizzo dei captatori, nei luoghi di privata dimora per i principali reati contro la Pubblica amministrazione. E' un ricorso a norme che si definiscono «rinneganti», che la legge non si risparmia.

La legge interviene su altro punto dolente: quello della diffusione di contenuti irrilevanti e coinvolgenti altri soggetti estranei alle inchieste o aspetti della vita privata dell'indagato inconferenti. Anche a questo proposito mi sembra che il complesso articolato non corrisponda proprio all'esasperazione di prassi divulgative che, prima e a prescindere da qualsiasi accertamento giudiziario, portano alla distruzione dell'immagine sociale dei malcapitati. In sintesi la questione è rimessa nelle mani dei pubblici ministeri procedenti e, del resto, si notò subito come la riforma, già nella delega, si fosse ispirata proprio ad iniziative di autoregolamentazione adottate dalle Procure: ritorniamo ad un legislatore al traino del potere giudiziario. Ancora il «fattore M»?

Un'ultima osservazione riguarda la cosiddetta udienza stralcio, davanti a un giudice e in contraddittorio con i difensori, volta anzitutto e proprio ad espungere dal fascicolo dell'accusa l'irrilevante e a consentire all'indagato di farvi entrare quanto egli, a differenza del pm, non reputa tale. Udienza che dovrebbe avvenire a conclusione delle operazioni di captazione. Era prevista anche nel testo previgente del codice di rito, ma implicando un discovery anticipata rispetto alla conclusione delle indagini, con l'autorizzazione del giudice poteva essere differita.

Norma questa che viene ribadita, anche se la disciplina è stata completamente rivista, per altro con termini temporali per l'interlocuzione della difesa a dir poco ridicoli. La prognosi quindi non è proprio favorevole per un superamento di una desuetudine che, nella prassi, continuerà a rendere solo virtuale la possibilità per l'indagato di intervenire prima della fine delle indagini. Alla faccia delle garanzie difensive.
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