Indipendentismi, se lo Stato declina e l'Europa s'attarda

di Biagio de Giovanni
Domenica 22 Ottobre 2017, 10:06
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Per un imprevedibile accumularsi di circostanze, si verifica una perfetta coincidenza nei tempi, tra l’estremo inasprirsi della vicenda spagnola, giunta al commissariamento della Regione catalana, con sviluppi che possono diventare drammatici, e il pacifico referendum lombardo-veneto indetto per chiedere una maggiore autonomia delle due regioni del Nord. Nessun paragone tra le due situazioni, non c’è bisogno di sottolinearlo, la prima come atto esplicitamente fuori dal recinto della costituzione spagnola, la seconda, dichiaratamente dentro l’alveo della costituzione italiana. Ma ciò detto, è fuor d’ogni dubbio che le due vicende, come altre che sembrano prepararsi, a partire dalla situazione nelle Fiandre, hanno più di un elemento che le accomuna se lo sguardo si volge non al merito specifico che le descrive, ma alla linea di tendenza dinamica che i due eventi, portati avanti in modo così contrastanti, manifestano.

La tendenza comune, e in via di diffusione, è di mettere in discussione, con maggiore o minore acutezza, con il senso teso dell'eccezione o con quello di una evoluzione normale- le ragioni storiche dell'unità politica degli Stati nazionali.

Siccome è da più di un secolo che si parla di crisi dello Stato, non c'è da meravigliarsi che la tendenza indicata prenda sempre più corpo, trovi sempre più ragioni, ora dettate da una volontà di maggiore controllo del proprio limitato territorio, ora dalla volontà di trattenere all'interno di una regione la sua energia produttiva, ora per un sentimento di appartenenza che si avverte sempre più localmente determinato, come se la nazione fosse ormai un'entità troppo vaga e inconsistente e perfino lontana per esser essa il punto di unificazione della coscienza comune. Ora, infine, per l'esplodere di distanze tra i livelli economico-culturali -di civiltà, insomma- delle diverse regioni di uno Stato, con la volontà del livello che giudica se stesso più alto di non voler più condividere ciò che giunge dal livello giudicato più basso, per il timore di una diretta contaminazione. Si tratta di un fenomeno che può diventare imponente ed è proprio esso che accomuna le situazioni più diverse tra loro, diverse, forse, solo perché quelle situazioni appartengono a differenti momenti di evoluzione storica del problema.

Dunque, accentuazione della crisi dello Stato-nazione. Ora si potrebbe guardare ad essa come a un possibile sviluppo comprensibile di un processo, e perfino intravedere uno sbocco non traumatico se nel frattempo esistesse l'Europa come nuovo spazio generale in cui comprendere le accentuate diversità. Tutto da definire, ma tutto con una possibilità di sia pur problematica comprensione. Perciò lo sguardo, mai come ora e con tutti i rischi che così corre l'analisi, deve provare a collocarsi in un punto di vista più generale, capace di coinvolgere, anzitutto, lo stato delle cose (lo stato dell'arte, come si dice) in Europa, dove si vive una situazione di grande stallo, come in attesa di qualcosa che però non si sa bene che cosa possa essere. Siamo in un momento di caos e divisione di intenti. Non sappiamo più precisamente che cosa vogliamo indicare quando parliamo di Europa. La Gran Bretagna è confusamente in uscita, un evento di portata ora inimmaginabile negli equilibri europei. L'Europa dell'Est (gruppo di Visegrad, più forse Austria) si apparta, chiudendo confini. La Spagna, per tornare all'inizio, è alle prese con una vicenda che non ha precedenti, un atto eversivo che può avere dalla sua parte tutte le motivazioni che si vogliono, ma che tale rimane, eversivo, e che mette in radicale discussione l'unità della nazione. Germania in un inedita incertezza politica. Francia che, al di là di ogni buona intenzione, potrebbe restar vittima della sua tradizione giacobina. Dell'Italia non parlo, vedo una situazione di straordinaria insicurezza politica che non è detto debba avere uno sbocco tranquillizzante.

Ora dove sta la responsabilità dell'Europa? Perché richiamarla avendo iniziato con Catalogna e lombardo-veneto? La sua responsabilità è molto forte, molto netta storicamente. E si può rappresentare così: avendo messo eccessivamente le briglie al collo degli stati nazionali, avendo drasticamente ridotto la possibilità per gli stati di governare la coesione sociale, e non solo, essa ne ha drasticamente ridotto la legittimazione politica, aprendo il vaso di Pandora. L'Europa potrebbe rispondere che senza quelle briglie il tentativo di integrazione nemmeno sarebbe nato, e ha certo qualche ragione dalla sua parte, ma non tutte le ragioni, però. Soprattutto, un tentativo rimasto a mezz'aria, per carenza, a partire da un certo momento, di pensiero e sensibilità politica, è esposto a tutte le turbolenze, e come il fiore sbocciato su una roccia, di crociana memoria, può esser spazzato via dal vento. Non siamo certo a questo, né ci arriveremo, ma siamo in un momento di grande incertezza sulla prospettiva. E non basta confortarsi con l'economia, snocciolando dati pur importanti, quando non c'è la politica. Ma la politica generale ci può essere, o essa, a modo suo, sta tornando proprio nei nuovi separatismi? E tornando schiacciata su una ridotta dimensione localistica? E il mondo nel frattempo? Aspetterà l'Europa o continuerà a camminare per suo conto? Domanda retorica, come ben s'intende.
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