Le rendite d'oro sono pochissime, ma fra i pensionati i privilegi sono diffusi

Pensionati
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di Diodato Pirone
Sabato 16 Dicembre 2017, 17:03
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La polemica sulla possibilità di ricavare 12 miliardi tagliando le pensioni d'oro offre la possibilità di fare un po' di chiarezza su questo tema.

Quante sono davvero le pensioni alte? Pochissime. Per capire meglio prendiamo in considrazione i valori netti. Ebbene i pensionati italiani che ricevono ogni mese (per tredici) più di 5.000 euro netti sono meno di 10.000. Il costo complessivo è di 1,8 miliardi.

Pochissimi anche gli anziani che guadagnano oltre i 3.000 euro netti al mese (sempre per 13 mensilità): si tratta di 90.000 fortunati che complessivamente costano alla collettività meno di 10 miliardi, per l'esattezza 9,6 miliardi.

Dunque per ottenere i risparmi ipotizzati dal leader M5S Luigi Di Maio bisognerebbe smettere di pagare il 100% di tutte queste pensioni, cosa all'evidenza impossibile e ingiusta, oppure allargare la platea dei colpiti anche a pensionati intorno ai 2.000/2.500 euro netti mensili riducendo del 15/20% le loro rendite.

Le cifre, fornite dal Centro Studi Itinerari Previdenziali che si basa su cifre Inps, hanno il pregio di fare chiarezza su una delle polemiche di più bassa qualità fra le mille che hanno attraversato l'Italia in questi ultimi anni. Al di là di migliaia di articoli e di decine di libri scritti sul tema, il fenomeno delle pensioni d'oro è ristrettissimo. Non solo. La maggioranza di queste pensioni sono, sia pure parzialmente, legate a stipendi a torto o a ragione molto alti che hanno determinato contributi molto alti. Sono pochissimi i casi di pensioni alte "regalate" (ad esempio una parte dei vecchi vitalizi ai politici calcolati prima della riforma del 2012 che li ha aboliti). E  anche eliminandoli tutti, uno a uno con un colpo di bacchetta magica, i risparmi realisticamente ottenibili sarebbero risibili.

La proposta di Di Maio, oltre che generica, sembra figlia della sindrome della doppia morale per cui, in campo pensionistico, la logica dei "diritti acquisiti" vale per chi deve andare in pensione ma non per i pensionati "ricchi". Un'assurdità giuridica figlia di un modo di fare politica all'italiana sempre più distaccato dalla realtà, dalla logica e persino da basilari concetti di equità.

Ma allora esiste o non esiste un problema pensionistico? Certo che esiste. In Italia abbiamo circa 16 milioni di pensionati che assorbono la bellezza di 280 miliardi di euro. Praticamente su tre euro che lo Stato spende, un euro finisce in pensioni. Un'enormità. Circa il 17% del nostro Pil (cioè della ricchezza prodotta) se ne va in previdenza. Nessuno stato europeo ha un peso della spesa previdenziale in relazione al proprio Pil così alto.

La verità sulle pensioni dunque è un altra: la gran parte delle pensioni italiane in pagamento sono state calcolate con il metodo retributivo che assicura a chi va a riposo un trattamento di favore poiché il pensionato finisce per ricevere più di quanto ha versato come lavoratore. Il calcolo contributivo - equa - è stato introdotto nel 1996 ma solo dal 2012 vale per tutti per cui solo 500.000 pensioni oggi sono pagate integralmente col contributivo. Il risultato è evidente: il privilegio di vedersi accreditare una pensione più alta del dovuto riguarda milioni di italiani e non le poche migliaia messa nel mirino dalla retorica comune. 

Questa verità - amara ma "vera"  - è stata proclamata qualche anno fa dall'attuale presidente dell'Inps, l'economista Tito Boeri. Che ha proposto di ricalcolare con il contributivo le pensioni più alte e di versare il ricavato a un fondo per i giovani.

I giovani italiani infatti oggi sono molto più poveri dei loro nonni. Fra chi ha meno di 18 anni i poveri assoluti (cioè con meno del necessario) sono il 12,5% mentre fra chia ha più di 65 anni si contano solo 3,5% di poveri.i poveri oltre i ultrassessantacinquenni poveri sono solo il 3,5%
 
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