ROMA - Quello che tutti immaginavano sarebbe accaduto, ma che ripetevano come un mantra che non sarebbe accaduto, sta per accadere. A giugno la Grecia non rimborserà i prestiti del Fondo Monetario Internazionale. Come ha spiegato ieri in un'intervista televisiva il ministro dell'interno greco, Nikos Voutsis, le quattro rate per complessivi 1,6 miliardi di euro che entro giugno Atene dovrebbe versare a Washington non saranno pagate.
«Questo denaro non sarà versato», ha detto Voutsis, «perché non c'è». Che i soldi mancassero, del resto, lo aveva lasciato chiaramente intendere già qualche giorno fa il vulcanico ministro dell'Economia Yanis Varoufakis, che aveva spiegato come dovendo scegliere tra il pagare salari e pensioni o il Fondo monetario, avrebbe scelto sicuramente i primi.
IL NEGOZIATO
Il destino di Atene è legato a quello dell'euro. Una Grexit, l'uscita dalla moneta unica della Grecia, potrebbe rendere agli occhi dei mercati non più irreversibile il progetto europeo. Nonostante l'ombrello del Quantitative easing della Bce, la speculazione potrebbe riaffacciarsi. Questo Atene lo sa. E lo usa come arma negoziale. Basta ascoltare, ancora una volta, le parole di Varoufakis. «L'uscita della Grecia dalla moneta unica sarebbe l'inizio della fine per il progetto dell'euro», ha detto ieri commentando l'ipotesi del mancato rimborso della rata al Fondo monetario. «Se ci si trova in un'unione monetaria», ha aggiunto, «uscirne è catastrofico». Una drammatizzazione in qualche modo parallela a quella avvenuta sul fronte opposto, quello tedesco. Non più tardi di un paio di giorni fa, in una lunga intervista al Wsj, il ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble aveva detto di non poter più escludere un default della Grecia, auspicando in qualche modo che a dire l'ultima parola su un accordo tra Atene e i creditori, fossero gli stessi elettori greci. Insomma, una sorta di referendum sulla permanenza nell'euro e un giudizio sul pur breve operato del governo Tsipras. Toni così esasperati potrebbero tuttavia, voler anche dire che il negoziato è arrivato ad un punto cruciale. Lo stesso Tsipras ritornando ad Atene dal vertice di Riga, si era detto pronto ad un compromesso che non fosse però «umiliante» e «irragionevole» per i greci. Atene non vuol fare retromarcia sull'aumento del salario minimo riportato a 751 euro. Sull'incremento delle entrate, a cominciare dall'Iva, qualche apertura in più ci sarebbe stata. Lo scenario più probabile, a questo punto, sarebbe quello di un accordo in due tempi. In un primo momento Atene potrebbe accettare un incremento della pressione fiscale per sbloccare almeno una tranche dei 7,2 miliardi di aiuti che ancora deve incassare. Un modo per non diventare insolvente. In un secondo momento potrebbe poi negoziare riforme sul mercato del lavoro e sulle pensioni. Giovedì e venerdì prossimo è previsto un G7 a Dresda. Nei fatti una riunione dei creditori di Atene. Ma a questo punto ad essere carente non è più solo il denaro. Anche il tempo è una risorsa divenuta estremamente scarsa.