Ministri, la grande spartizione. E Di Maio spera nella sponda Colle

Ministri, la grande spartizione. E Di Maio spera nella sponda Colle
di Alberto Gentili
Domenica 20 Maggio 2018, 08:00 - Ultimo agg. 12:53
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Questa mattina, alla vigilia della nuova visita a Sergio Mattarella, Luigi Di Maio e Matteo Salvini torneranno a vedersi. Ieri, come ormai da settimane, i due si sono sentiti e scambiato messaggi: chiuso il contratto di governo, il capo grillino e il leader leghista trattano su premier e ministeri. Partita aspra, ringhiosa. Dall'approdo tutt'altro che scontato. Anche perché, come ha ricordato la settimana scorsa Mattarella, il capo dello Stato «non è un notaio». Sarà lui a dire l'ultima parola sui ministri e a stabilire, come fece Luigi Einaudi, se il nome che gli verrà proposto per palazzo Chigi sarà all'altezza del delicato ruolo.

Di Maio, che non ha affatto abbandonato il proposito di guidare il governo giallo-verde, ed è proprio sul Quirinale che punta. Non a caso, dopo che Salvini si è fatto vidimare sabato dal Consiglio federale il no ad avere il leader grillino come presidente del Consiglio e aver ripetuto ieri che «il premier non sarò né io, né Di Maio, ma un professionista incontestabile che vada bene ad entrambi e ha partecipato alla stesura del programma», Di Maio da Imola si è lasciato sfuggire: «Non so se andrò io a palazzo Chigi». Come dire: è difficile, ma ancora ci punto. E Davide Casaleggio ha messo a verbale: «Il premier ideale è Luigi».
 
Lo schema di approccio di Di Maio lo spiega un grillino di alto rango: «Sul Colle, come d'accordo con Salvini, Luigi farà un nome terzo, proporrà un tecnico d'area. Uno come Conte, oppure come Roventini e Fioramonti. Però già mette in conto le perplessità del capo dello Stato di fronte a personalità competenti, ma non certo di spicco. E confida sul fatto che sia il Presidente, per avere un governo più forte e stabile, a spingerlo a fare il premier in quanto leader politico della forza che ha preso il 32% di voti alle elezioni...». Tant'è che Di Maio ha confidato: «Mi riproporrò, la logica sta dalla mia parte».

Da vedere, se davvero fosse questo l'epilogo, come reagirà Salvini. Il rischio che salti tutto c'è. A maggior ragione sul Colle non si sbilanciano, attendono le indicazioni dei due leader. Ma come insegna la storia repubblicana, i governi di coalizione spesso non sono stati guidati dai leader di partito. La Dc, ad esempio, in sessant'anni spedì a palazzo Chigi solo due segretari: De Mita e Fanfani.

Collegata al premier è la partita dei dicasteri, la lotta per la grande spartizione. Di Maio ha fatto capire a Salvini - se dovesse fare il famoso passo di lato e rinunciare alla premiership - di puntare sul comparto economico: Sviluppo (Roventini o Fioramonti), Lavoro-welfare (il leader grillino), Infrastrutture e trasporti (Laura Castelli). Chiara la strategia: imporre lo stop alla grandi opere (Tav Torino-Lione, Terzo Valico e Tap) e attuare in prima persona il reddito di cittadinanza. Più la Giustizia per Alfonso Bonafede, la Sanità per Giulia Grillo, la Scuola per Vito Crimi o Vincenzo Spadafora che potrebbe anche assumere l'incarico di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio.

Salvini, in questo schema senza Di Maio a palazzo Chigi, agguanterebbe il comparto sicurezza per avere «le mani libere» contro rom e migranti. Gli Interni per lui, la Difesa a Lorenzo Fontana (se il capo leghista non riuscirà ad agganciare Fratelli d'Italia e a portare Guido Crosetto in quel dicastero), i Servizi segreti a Giancarlo Giorgetti che avrebbe anche il ruolo strategico di sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Inoltre, alla Lega andrebbe l'Agricoltura (Nicola Molteni), i Rapporti con il Parlamento (Giulia Bongiorno), il nuovo ministero alla disabilità (Simona Bordonali), il Turismo e gli Affari regionali (Gian Marco Centinaio).

Tutto cambierebbe e alla Lega potrebbero andare qualche dicastero economico, se invece Di Maio dovesse spuntarla e riuscisse ad andare a palazzo Chigi. In questo caso evaporerebbe anche l'ipotesi del capo pentastellato e di Salvini nel ruolo di vicepremier, in quello che è stato immaginato come una sorta di triumvirato con il premier targato 5Stelle.

Sui dicasteri più importanti, quelli di Economia, Esteri e Difesa, Di Maio e Salvini sono orientati ad affidarsi alle indicazioni del capo dello Stato. I nomi più accreditati sono quelli di Salvatore Rossi (attuale direttore generale di Bankitalia) per il Tesoro. Dell'ambasciatore Giampiero Massolo (presidente di Fincantieri e dell'Istituto di politica estera) per la Farnesina. Più, appunto, Crosetto per la Difesa: visto il no di Giorgia Meloni a sostenere l'esecutivo, Salvini nelle ultime ore è tornato a sondare la leader di FdI per provare a farle cambiare idea.

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