Pittella: «Dal premier britannico
​un bluff al tavolo di poker»

Pittella: «Dal premier britannico un bluff al tavolo di poker»
di Paolo Mainiero
Sabato 25 Giugno 2016, 10:52
3 Minuti di Lettura
Nell'ora più lunga e difficile dell'Europa dalla fine della Seconda guerra mondiale, Gianni Pittella, presidente del gruppo dei Socialisti e democratici europei, è al suo posto, a Bruxelles. «È un giorno triste per l'Europa ma non è il funerale della Ue», commenta.

Il presidente Napolitano ha definito «incauta» la scelta di David Cameron di indire il referendum. È d'accordo? Non crede che dare la parola al popolo sia un esercizio di democrazia?
«Cameron ha scommesso. Il suo è stato un bluff al poker per sistemare la situazione interna al proprio partito e per consolidare la propria leadership rispetto ad altre personalità, la prima di tutte l'ex sindaco di Londra Boris Johnson, uno dei più agguerriti sostenitori della Brexit. Cameron ha giocato d'azzardo ma ha perso, e si ritrova con la Gran Bretagna fuori dall'Europa, mentre, ed è il dato più significativo, i giovani hanno votato per il remain e sono frustrati perchè vedono in bilico le loro aspirazioni al futuro per colpa di una scommessa incauta».
Cameron ha annunciato che si dimetterà. È il minimo che potesse fare?
«Il premier ha dichiarato che lascerà Downing Street a ottobre, dopo il congresso del suo partito, e che sarà il suo successore ad avviare i negoziati per il recesso. Ma non mi sembra una posizione corretta. Cameron dovrebbe dimettersi subito. Rispettiamo integralmente la volontà dei cittadini britannici ma allo stesso tempo chiediamo che ci siano procedure veloci per la notificazione del recesso e per la negoziazione del rapporto che sarà tra Ue e un Paese terzo, con ciò che ne consegue a danno dei cittadini britannici».
Azzardiamo una ipotesi da fantapolitica: il referendum è consultivo e non vincolante. E se la Gran Bretagna non uscisse?
«Non è politicamente una ipotesi sostenibile. È vero, il referendum è consultivo e non vincolante ma è impensabile che si possa revocare il suo esito. E lo dico con grande tristezza».
Però è innegabile che ci sia un malessere diffuso verso questa Europa. Non pensa che i vertici della Ue abbiano sottovalutato i disagi?
«Assolutamente sì, c'è stata una sottovalutazione degli eventi. I due principali fattori di rischio sono stati la crisi economica e la disoccupazione, che hanno scatenato disperazione dei cittadini e delle periferie delle grandi città. A questi fattori si è aggiunto il mancato governo dei flussi migratori sui quali si è costruito un racconto drammatico e artificiale come se stessimo alla vigilia di una invasione barbarica che minacciava gli Stati».
L'emergenza migranti ha un colpevole in Europa?
«I Paesi dell'Est, Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca, Romania, Polonia, hanno fatto blocco contro il sistema di collocazione obbligatoria dei migranti negli Stati Ue. È venuto meno il principio di solidarietà tra Paesi membri per cui i cittadini hanno reagito attraverso posizioni che portano allo sfascio».
C'è il rischio di un contagio?
«C'è chi ricercherà un effetto domino. Da Farage in Gran Bretagna a Wilders in Olanda, da Le Pen in Francia agli italiani Grillo e Salvini, i movimenti populisti cavalcheranno la Brexit. È indispensabile che le forze europeiste siano unite e sappiano dare risposte ai cittadini delusi dall'austerità. Servono politiche economiche che rilancino la crescita e recuperino le aree sociali più emarginate. Serve che i cittadini si sentano più coinvolti anche con l'elezione diretta del presidente della Commissione europea». (...)