Madre e figlio lasciati morire in mare, il giallo dei soccorsi

Madre e figlio lasciati morire in mare, il giallo dei soccorsi
di Valentino Di Giacomo
Giovedì 19 Luglio 2018, 07:00 - Ultimo agg. 12:52
3 Minuti di Lettura

Due motovedette, almeno due salvataggi e il mistero di quei tre corpi recuperati dalla nave della ong Open Arms martedì mattina: ancora in vita la camerunense Josephine, poi i cadaveri di una donna e di un bimbo. A bordo di una delle motovedette della guardia costiera libica uscite dal porto di Tripoli lunedì sera c'erano due giornalisti, la tedesca Nadja Kriewald che ha girato un reportage che andrà in onda venerdì su N-tv, oltre ad un reporter libico.

I due giornalisti hanno raccontato al Mattino che non c'era più nessuno in mare quando i marinai libici hanno terminato le operazioni di salvataggio. Nadja e il collega Emed Matoug si riferivano alle operazioni effettuate dalla motovedetta «Ras Sjdeir» con al comando il capitano Rami Rameid. Per Open Arms che ha accusato di aver lasciato in mare i tre corpi, la motovedetta incriminata sarebbe però un'altra. Un particolare che l'ong ha manifestato solo ieri, dopo le testimonianze raccolte dalla reporter tedesca, una motovedetta è intervenuta a largo di Garabouli con 165 migranti, l'altra nei pressi di Khoms che ha salvato 158 persone. Due punti distanti circa 100 miglia nautiche.
 
Diverse le missioni di salvataggio portate a compimento dalla Marina libica nella notte tra lunedì e martedì scorso. Secondo il deputato di Liberi e Uguali, Erasmo Palazzotto presente come osservatore a bordo della nave della ong spagnola Open Arms la motovedetta che avrebbe lasciato in acqua i corpi delle due donne e del bambino sarebbe stata la «Ras al Jadr 648» - in realtà una differente traslitterazione dall'arabo della stessa motovedetta dove erano a bordo i due giornalisti, la «Ras Sjdeir».

La nuova versione della ong è stata fornita solo ieri, quando la testimonianza raccolta dal Mattino dei due giornalisti con le immagini riprese dal cameraman della tv tedesca rendevano quantomeno ardite differenti ricostruzioni. Entrambe le versioni, sia quella della giornalista che del deputato differiscono dal nome che però in realtà si riferisce alla stessa imbarcazione.

Kriewald sostiene però di aver saputo dal capitano della motovedetta libica che quella stessa motovedetta aveva effettuato un'altra operazione due ore prima. Chi avrebbe omesso i soccorsi e quando?

La marina libica riferisce di aver realizzato due salvataggi a diverse miglia nautiche di distanza, la motovedette probabilmente la stessa. Non si può quindi ancora escludere che la testimonianza della reporter tedesca e del suo collega libico possano essere quindi valide. A meno che non si tratti di due salvataggi avvenuti a distanza di tempo nella stessa sera.

Ora, l'unica persona che potrà chiarire meglio la vicenda è proprio la donna camerunense, Josephine, ancora in stato di choc a bordo della Open Arms diretta verso il porto di Palma de Mallorca. Al momento la donna dice di non ricordare nulla di ciò che è accaduto, né da dove sia partita. Ricorda solo di essere rimasta in mare due notti e due giorni.

«Open Arms diffonde solo bugie, i migranti li abbiamo salvati tutti, che senso avrebbe salvare centinaia di persone e poi lasciar morire tre persone in mare?» Ayoub Qassem, il portavoce della Marina libica racconta la sua versione confermando che gli interventi delle motovedette sono molteplici in questo periodo. «Dicono che non abbiamo raccolto quelle due donne e il bambino perché spiegano i guardiacoste di Tripoli non volevano salire a bordo per essere riportati in Libia. È assurdo. Riusciamo a portare sulle motovedette uomini forzuti alti due metri e dovremmo lasciare in mare due donne e un bimbo che è semplice recuperare anche nel caso opponessero resistenza?». Resta quindi un mistero come potessero restare in mare quelle tre persone tra filmati, testimonianze e versioni che si inseguono e poi contrastano tra loro.

© RIPRODUZIONE RISERVATA