«Sugli arrivi gestisco io», e Salvini minaccia la crisi di governo

«Sugli arrivi gestisco io», e Salvini minaccia la crisi di governo
di Alberto Gentili
Giovedì 10 Gennaio 2019, 07:00 - Ultimo agg. 14:11
4 Minuti di Lettura

Per tutta la giornata a palazzo Chigi è rimbalzata la parola «chiarimento», accompagnata da un'altra ben più grave sibilata da Matteo Salvini: «Crisi». Perché Giuseppe Conte l'ha scavalcato e ha fatto sapere che l'Italia è pronta ad accogliere alcuni migranti approdati a Malta. E perché il vicepremier leghista, per tutta risposta, sulla questione ha sfiduciato il premier: «Decido io. In Italia non sbarca nessuno». Poi, alle undici di sera a palazzo Chigi è scattato il vertice: una verifica vera e propria, pretesa e ottenuta da Salvini. La prima dalla nascita del governo giallo-verde.

All'una di notte è annunciata la tregua: una decina di migranti approdati ieri a Malta arriveranno in Italia, ma nel frattempo Conte lavorerà con Bruxelles per ricollocare oltre 200 immigrati sbarcati in estate in Sicilia e che Germania, Olanda e altri Paesi europei avevano promesso di accogliere. Una sorta di pareggio, che però Salvini vende come una vittoria: «Sono molto soddisfatto, l'immigrazione la gestisce il ministro dell'Interno».
 
Il leader leghista si è presentato al summit «decisamente furioso», determinato a non uscire ridimensionato agli occhi dell'opinione pubblica. E in base a ciò che è filtrato dal suo entourage, nel vertice il leader leghista ha sollevato una questione di metodo e di sostanza. A brutto muso ha detto a Conte e a Di Maio che giudica «inaccettabile e pericoloso» il modo con cui è stata gestita la vicenda. A partire da quando, sabato scorso, il vicepremier 5Stelle si è smarcato annunciando che l'Italia avrebbe dovuto accogliere «almeno le donne e i bambini». «Neanche una telefonata per avvertirmi o per consultarmi, soltanto un messaggio a cose fatte: non solo la scelta non è stata condivisa, non mi è stata neppure comunicata. Così non va, sono stufo! Posso capire che voi grillini abbiate problemi interni, ma le decisioni vanno concordate. Ciò che è accaduto è gravissimo...».

Il leader leghista a questo punto avrebbe adombrato la fine del governo giallo-verde, gettando sul piatto anche il sì alla Tav, il no al disegno di legge per la liberalizzazione della cannabis e soprattutto lo stop al decreto con il reddito di cittadinanza: «Voglio i soldi per le pensioni di anzianità e più fondi per le famiglie numerose». Tant'è che il varo del provvedimento è slittato a domani.

Poi Salvini, per nulla disposto a cedere sul tema elettoralmente a lui congeniale dello stop agli sbarchi, ha affrontato la sostanza dello scontro. Ha sostenuto che sui migranti la competenza è sua, in qualità di ministro dell'Interno. E che non cederà «di un millimetro». A meno che, ed è stato questo il cuore della trattativa notturna, Conte non ottenga dall'Unione europea il rispetto dei patti siglati in estate: «A Pozzallo e Catania tra luglio e agosto sono sbarcati 654 immigrati, ma solo 150 sono stati effettivamente redistribuiti. Ebbene, dire di sì ora a Bruxelles è un segnale di debolezza...».

Ecco il capo di imputazione più grave che il vicepremier lumbard, sostenuto dai governatori leghisti di Lombardia, Veneto e Friuli, ha mosso contro Conte e a Di Maio: essersi piegati ai diktat di Bruxelles, ai voleri di quell'Unione europea che in giornata a Varsavia Salvini aveva provveduto ad annunciarne la morte con la «primavera sovranista» alle elezioni del 26 maggio. Insomma, un tradimento, «violando per di più il contratto di governo». E questa violazione «è un pericoloso precedente», un «vulnus che rischia di far saltare tutto» e di spingere l'esecutivo verso la crisi.

Conte, che l'altra sera era andato giù duro a Porta a Porta annunciando l'intenzione di ospitare alcuni migranti a bordo delle navi Ong e irridendo Salvini («non vuole sbarchi? Li vado a prendere in aereo»), da quel che filtra ha tenuto la posizione. Ha spiegato che dopo la lunga trattativa con il maltese Muscat e con gli altri Paesi europei, non poteva fare altrimenti. Ma ha anche garantito che a Salvini che d'ora in poi ogni mossa sui migranti sarà «pienamente concordata».

Di Maio, che in casa ha problemi molto seri e in giornata aveva vestito i panni del paciere («fermiamoci, vediamoci e risolviamo»), ha coperto le spalle al premier parlando di «accoglienza indispensabile in casi estremi» come quello maltese. Ma anche lui ha garantito l'impegno a «una maggiore consultazione». Lo schema grillino non prevede infatti la crisi di governo. Di Maio non vuole assolutamente le elezioni. Tantomeno in questa fase, dopo Carige, Ilva, Tap, etc e prima che il reddito di cittadinanza diventi operativo. Ma cerca ugualmente di ridimensionare Salvini, di limitarlo sul terreno che più gli sta regalando consensi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA