La mossa del Pd anti-Di Maio: sì al leghista Giorgetti al Senato

La mossa del Pd anti-Di Maio: sì al leghista Giorgetti al Senato
di Marco Conti
Giovedì 15 Marzo 2018, 09:43 - Ultimo agg. 09:51
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Due giorni fa nessuno voleva trattare. Nè i «vincitori» Di Maio e Salvini, nè il Pd rintantosi al Nazareno. Il convulso giro di telefonate di ieri tra i leader di Lega, M5S e Pd segnala che l'ingranaggio ha cominciato, seppur tra mille difficoltà, a muoversi. L'obiettivo principale resta l'elezione dei presidenti delle Camere che nessuno può eleggersi da solo. Anche Salvini, leader di un centrodestra che al Senato avrebbe i numeri per far da solo, sembra aver messo da parte l'idea di chiudere un accordo con i grillini senza Berlusconi e la Meloni.

Seppur con qualche difficoltà, Salvini sta entrando nel ruolo di leader del centrodestra che per anni ha svolto Berlusconi. Tocca ora a lui farsi concavo e convesso per arrivare al momento delle consultazioni al Quirinale ancora come unico candidato premier di tutto il centrodestra. Un punto che sia Berlusconi che la Meloni non intendono mettere in discussione. A patto però che Salvini tratti, da leader del centrodestra, sulle presidenze delle Camere con gli altri partiti e che alla fine tragga le conclusioni insieme agli alleati. Un iter che il segretario della Lega ieri ha seguito chiamando il segretario del Pd Maurizio Martina come il leader dei 5S Luigi Di Maio. Il primo ha ribadito al segretario del Carroccio ciò che poco prima aveva detto in tv Lorenzo Guerini. Ovvero che il Pd non si sottrae al confronto e al possibile accordo su «figure autorevoli e di garanzia». Più precise le richieste di Di Maio che il vicepresidente della Camera riassume in un post su facebook: siamo la prima forza ci spetta la presidenza della Camera anche perché questo ci permetterà di abolire i vitalizi «e quant'altro».
 
Ovviamente i contatti sono continui e trasversali, ma la disponibilità data dal Pd ad entrare nella partita aiuta non poco Berlusconi che da tempo punta sull'elezione di Paolo Romani alla presidenza di palazzo Madama. Una disponibilità, quella dei dem, che potrebbe risultare decisiva a Montecitorio dove l'elezione di Giancarlo Giorgetti permetterebbe a Salvini di ottenere una delle due presidenze - grazia ai voti del Pd - lasciando il Senato a FI. Ovviamente Martina non si è sbilanciato nel primo giro di telefonate, ma nel Pd sono in molti ad essere convinti che Giorgetti, in virtù della sua lunga esperienza parlamentare e dei molti rapporti che ha anche a sinistra, possa rappresentare meglio di altri quella figura super partes che serve per presiedere Montecitorio.

D'altra parte che questo fosse lo schema più gradito al Cavaliere era noto già da ieri l'altro e riportato su queste colonne. Berlusconi è convinto che l'elezione di un leghista alla Camera e di un azzurro alla Camera rappresenta un forte sbarramento per impedire che possa costruirsi un governo con i 5S. Non solo, l'elezione di Romani e Giorgetti mettono a disposizione del Quirinale due «cartucce» in più da usare - qualora ce ne fosse bisogno - durante le consultazioni.

Ovviamente Salvini prova a resistere. L'elezione di un pentastellato al Senato o alla Camera rappresentano per il leader della Lega una garanzia in più contro quel «governo di tutti o di tregua» che potrebbe nascere prima dell'estate e che si sà quando parte ma non quando si ferma. Il prezzo da pagare per un accordo in solitaria è però troppo alto per chi si definisce leader del centrodestra. Rompere con Berlusconi e con la Meloni, significherebbe per Salvini lasciare la guida del 37% ed accontentarsi del pur significativo 18% che ha raggiunto la Lega il 4 marzo.

Ovviamente tutti, Lega, 5S e Pd, sostengono che una cosa è l'elezione dei presidenti delle Camere e una cosa il governo, ma l'eventuale esclusione dei grillini rischia di rappresentare un punto di svolta importante nella costruzione dei una possibile maggioranza di governo.

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