Data del voto, ipotesi 18 marzo
prima ius soli e biotestamento

Data del voto, ipotesi 18 marzo prima ius soli e biotestamento
di Alberto Gentili
Domenica 19 Novembre 2017, 12:54 - Ultimo agg. 20 Novembre, 12:06
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Roma. Quindici giorni. La data più probabile delle elezioni, ora che è scattato l'ultimo giro della legislatura, slitta dal 4 al 18 marzo. È questa l'ultima indicazione che esce da palazzo Chigi. E, sembra, Matteo Renzi non avrebbe nulla da ridire. Perché un paio di settimane in più possono essere utili per costruire la «coalizione larga» di centrosinistra. E perché in quel lasso di tempo, il governo potrebbe tentare di varare qualche legge in più. A cominciare dal biotestamento. Lo Ius soli, invece, dovrebbe essere esaminato e votato (con la fiducia) dal Senato in dicembre.
Ciò significa che Paolo Gentiloni non salirà più sul Colle, come era stato programmato, prima di Natale per annunciare al capo dello Stato che il suo lavoro è concluso. E vuol dire che Sergio Mattarella, che da sempre considera la legislatura praticamente conclusa con l'approvazione della manovra economica, procederà allo scioglimento del Parlamento dopo l'Epifania. A metà gennaio o forse un po' più in là. «Tutto dipende da quali provvedimenti saremo in grado di approvare», dicono a palazzo Chigi. Nell'elenco c'è anche la legge sulle professioni sanitarie e quella sui parchi. Ma soprattutto il testamento biologico, ora implicitamente benedetto perfino da papa Francesco.

 

Insieme alle elezioni per il Parlamento, il 18 marzo si voterà anche per i consigli regionali di Lazio, Lombardia e Molise. Renzi mastica amaro, vorrebbe evitare l'effetto trascinamento lombardo, ma per evitare il doppio voto servirebbe una legge: le tre Regioni, infatti, già nel 2013 votarono sia per le politiche che per le amministrative. Ma non è un election-day completo: le Comunali si svolgeranno (come prevede la legge) tra il 15 aprile e il 15 giugno.
Sul Colle e a palazzo Chigi bocciano come prive di fondamento le voci che vorrebbero Gentiloni e Mattarella intenzionati ad anticipare il voto, in modo da poter tornare alle urne in giugno nel caso che i risultati elettorali non decretassero una maggioranza in grado di formare il nuovo governo. Primo perché, tra un adempimento e l'altro, ci vorrà un mese solo per insediare il Parlamento appena eletto. Secondo perché, come dimostra l'impasse in Germania, Mattarella non alzerà subito bandiera bianca e concederà qualche mese ai partiti per tentare di trovare un'intesa sull'esecutivo. In più, se il Rosatellum si rivelasse inadatto, sarà probabilmente necessario procedere a qualche ritocco. Conclusione: nella sciagurata ipotesi della paralisi gli italiani torneranno alle elezioni in autunno. Non prima.
Per il rinvio del voto e per l'election-day con le Comunali, spinge Silvio Berlusconi. L'obiettivo: urne a maggio. La speranza: la riabilitazione entro quella data della Corte di Strasburgo che il 23 esaminerà il ricorso presentato dall'ex premier. «Deciderà Mattarella ma dopo marzo è meglio», era stato l'auspicio manifestato qualche giorno fa dal leader di Forza Italia. Questa ipotesi però non piace agli alleati. «Spero si voti il prima possibile e che nessuno voglia tirare a campare. Non capisco perché Berlusconi parli di un voto più avanti a maggio», dice chiaro e tondo Matteo Salvini. «Prima si vota e meglio», aggiunge Giorgia Meloni.
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