Incarico a Fico, esplorazione in salita: pesano le diffidenze stellate

Incarico a Fico, esplorazione in salita: pesano le diffidenze stellate
di Francesco Lo Dico
Martedì 24 Aprile 2018, 07:00 - Ultimo agg. 10:08
4 Minuti di Lettura

Quella di domenica è stata una notte insonne per Roberto Fico. Accompagnata dallo stesso interrogativo che aveva tenuto banco fino al tardo pomeriggio di ieri: missione ampia, estesa a tutte le forze politiche e quindi alla Lega, o mandato ristretto al solo centrosinistra? Il dilemma ha continuato ad agitare il presidente della Camera per sei ore filate. Fino a quando, poco dopo le 16, non ha salito i gradini che da via della Dataria lo hanno condotto fino al Quirinale dopo la convocazione mattutina. Poi il sospiro di sollievo: come confidava in cuor suo, Fico dovrà trattare soltanto con il Pd, e non con quella Lega che più volte ha definito «geneticamente diversa dal Movimento» e che pure era a un passo dall'accordo con Di Maio. A conclusione del colloquio con il presidente Mattarella, il telefonino del leader ortodosso è stato subissato di messaggini. Ma Fico ha mantenuto un certo riserbo. A molti ha riportato la sensazione di un colloquio «cordiale, ma soprattutto emozionante». Agli intimi ha voluto però chiarire che il tentativo di scongelare il Pd sulla base del programma è stato concordato con il Colle, vivamente irritato dal valzer del duo Di Maio-Salvini. Non paghi dei 50 giorni avuti a disposizione, gli eterni fidanzati avevano infatti tentato strappare al Quirinale un'altra deroga fino alla tarda mattinata di ieri. Ma poi è arrivata la doccia gelata che ha pubblicamente innervosito il leader leghista, e pietrificato il capo politico pentastellato. Annusate le cattive notizie, Di Maio aveva messo di nuovo l'ennesimo paletto al collega grillino in mattinata («interpreterà al meglio quanto sarà richiesto dal capo dello Stato»), mentre ancora tentava di tenere in piedi l'asse con la Lega. Per poi materializzarsi a centrocampo nella nuova partita a distanza di poche ore dalla chiusura del forno leghista.
 
La strada che si prospetta davanti all'esploratore, è irta e ricca di insidie. E suscita umori contrapposti. Da una parte il Pd renziano già chiuso a testuggine su un possibile accordo, dall'altra i vertici del Movimento che temono viceversa nella riuscita dell'impresa. «Se il Pd ponesse il veto su Di Maio e aprisse a Fico premier, per noi sarebbero guai seri», raccontano fonti interne a Cinque Stelle. Il sentiero è stretto. Ma il presidente della Camera proverà ugualmente a sminarlo all'insegna del dialogo. «Nell'indicare come base del confronto i programmi, Roberto ha lanciato un chiaro segnale a tutti: continuare a insistere su nomi e premiership, come hanno fatto finora Di Maio e Salvini, non porta da nessuna parte». «Roberto spiega un parlamentare pentastellato ha ribadito un principio storico dei Cinque Stelle: il vero candidato del Movimento è il programma. Ed è su questo, non sui nomi, che dovremo confrontarci nella speranza di trovare uno spiraglio per palazzo Chigi».

Incassato il mandato del Quirinale, Roberto Fico non ha perso tempo. E ha subito preso contatti con quell'area dem, che da Franceschini a Orlando, da Rosato a Martina, è parsa tra molti distinguo più possibilista di fronte all'idea di sedere al tavolo. Programma alla mano, il presidente della Camera tenterà di imbastire nelle prossime 48 ore una trattativa. Ma per ammorbidire la resistenza dem un'ipotesi sulla quale sta provando a mediare anche Luca Lotti - Fico potrebbe prendere in considerazione un approccio più soft come quello proposto dalla prodiana Sandra Zampa: un governo monocolore dei Cinque Stelle, con l'appoggio esterno del Partito democratico. «È l'ipotesi più credibile in questo momento», commentano dall'ala ortodossa. Trovato il metodo, resterebbe tuttavia il merito. Chi a palazzo Chigi, se mai l'esplorazione di Fico portasse a un'insperata scoperta di disponibilità? Qui la faccenda si complicherebbe un bel po'. Qualunque intesa arrivasse, avrebbe come postilla il passo indietro di Luigi Di Maio: per il Pd sarebbe una condizione imprescindibile. E se viceversa arrivasse l'apertura al presidente della Camera, questi non avrebbe facoltà di decidere in autonomia: si limiterebbe a riferire la richiesta ai vertici del Movimento. Sarebbe possibile a quel punto che arrivasse il nulla osta per palazzo Chigi?

Alquanto improbabile, a giudicare dalla linea tenuta finora dall'inner circle pentastellato.

Che ha ribadito fino allo sfinimento che «il candidato premier del Movimento è Luigi Di Maio, votato da 11 milioni di persone». Per poi chiudere pubblicamente al presidente della Camera, per bocca di Danilo Toninelli, con parole che sono arrivate come una scudisciata: «No a Fico premier». «Il vero candidato del Movimento è il programma», si limitano a ribadire gli ortodossi. La sensazione è, che a meno di un nuovo ribaltone della falange penta-leghista, la strada dell'esploratore porti diritta a un governo del presidente.

© RIPRODUZIONE RISERVATA