Camere, i veti di M5S al centrodestra: Salvini apre ma Berlusconi non si fida

Camere, i veti di M5S al centrodestra: Salvini apre ma Berlusconi non si fida
di Alberto Gentili
Domenica 18 Marzo 2018, 11:36 - Ultimo agg. 16:18
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Dopo le zuffe e i veleni, nel centrodestra scatta la tregua. Nulla di definitivo, per carità, la partita è ancora lunga e i nervi molto tesi. Ma Silvio Berlusconi, lette e rilette le rassicurazioni di Matteo Salvini e del pontiere Giancarlo Giorgetti, comincia a sperare che la Lega non intenda rompere il patto di coalizione. Non per ora, almeno. E che dunque al primo giro di giostra, quello che scatterà da venerdì con l'elezione dei presidenti di Camera e Senato, sia disposta a concedere a Forza Italia ciò che chiede: la guida di Palazzo Madama a Paolo Romani. Un nome gradito anche al Pd.

Giorgetti, in un'intervista al Corsera, ha parlato del centrodestra come di «un gruppo» da tenere unito. Ha detto che la presidenza della Camera può andare, come richiesto da Luigi Di Maio, ai 5stelle. E che il timone del Senato è destinato al centrodestra, non alla Lega. Aggiungendo: un governo tra leghisti e grillini sarebbe «l'extrema ratio prima della disperazione». Parole accolte con soddisfazione ad Arcore, dove sono convinti che dietro la nuova disponibilità di Salvini non ci sia un sussulto di generosità. No davvero. Ma una precisa strategia: se rompesse adesso con Forza Italia, a inizio aprile - quando scatteranno le consultazioni di Sergio Mattarella - il segretario leghista sarebbe costretto a salire al Quirinale come candidato premier solo del Carroccio. Se invece non romperà con Berlusconi sulle presidenze delle Camera, sul Colle potrà andare rivendicando il ruolo di pretendente premier dell'intera coalizione. E magari strappare l'appoggio esterno del Pd che non dovrebbe sporcarsi le mani votando la fiducia e ieri è definitivamente sceso dall'Aventino.
 
I segnali di tregua di Salvini non rassicurano più di tanto Berlusconi. Il leader forzista sospetta che il capo leghista continui a esplorare - e neppure tanto segretamente - l'ipotesi di un esecutivo populista con Di Maio per poi andare sparato alle elezioni in autunno. L'obiettivo: dare il colpo di grazia a Forza Italia. Un epilogo che fa venire i brividi al Cavaliere tornato a perorare la causa di un «governo stabile e credibile», in grado «di far uscire il Paese dallo stallo» e di attuare «il programma con il quale la coalizione ha vinto».

Di Maio, naturalmente, non sta a guardare. Ha annunciato che in queste ore sentirà «tutti i leader». Ha detto di voler scegliere per le Camere «figure di garanzia gradite a tutti». E rivendicando per i 5stelle la presidenza di Montecitorio, ha provato a mettere una zeppa al presunto appeasement nel centrodestra cercando di stoppare la scalata di Romani a palazzo Madama: «Consideriamo inaccettabili le candidature di chi è stato condannato o sotto processo». Il capogruppo forzista ha una vecchia condanna per peculato.

Una mossa che Berlusconi non farà fatica a sterilizzare. Perché la condanna è antica e lieve: Romani aveva dato il telefono di servizio del Comune di Monza alla figlia. E perché, pur di far saltare «l'inciucio populista», il Pd è prontissimo a sostenere il capogruppo forzista che così ha virtualmente in tasca i numeri per vincere al ballottaggio. In più, secondo l'ottica di Berlusconi e dei dem, l'elezione di Romani avvicinerebbe l'ipotesi di un governo di tregua o di un esecutivo istituzionale: è nella prassi che il capo dello Stato, di fronte a un prolungarsi dell'impasse, affidi l'incarico di formare il governo al presidente del Senato.

C'è chi, però, nella cerchia dei consiglieri di Berlusconi legge nelle mosse di Salvini e Di Maio uno studiato gioco delle parti. Il leader leghista apre a Romani? E il capo grillino lo boccia, aprendo la strada al lumbard Roberto Calderoli. Il segretario del Carroccio vagheggia un governo di centrodestra? E Di Maio, ormai consapevole di non poter ottenere l'appoggio del Pd, anche sul fronte economico lancia segnali ai leghisti. In più, ad aumentare i sospetti di Berlusconi, arrivano le due stilettate di Salvini a Di Maio. La prima: «Ha detto che mi telefona? Va bene, rispondo a tutti». La seconda: «Vuole il taglio dei vitalizi? L'emergenza vera è il lavoro». Battute ruvide e gratuite in questa fase, soprattutto da parte di chi sembra intenzionato a tenere i grillini dentro alla partita del governo. In particolare se fosse un «esecutivo di tutti»: troppo comodo per i 5stelle, a giudizio di Salvini, starsene all'opposizione con le elezioni ravvicinate.

Ancora tutto da scrivere poi il capitolo del potenziale presidente della Camera in quota grillina. I nomi più accreditati sono quelli di Riccardo Fraccaro e di Emilio Carelli che per il suo aplomb moderato potrebbe risultare gradito a Berlusconi e al Pd. Da un paio di giorni però in molti sono pronti a scommettere che quel posto l'abbia prenotato Di Maio. Per assicurarsi, viste la difficoltà di formare un proprio governo, un importante ruolo istituzionale. E perché, come terza carica dello Stato, potrebbe ambire (al pari del presidente del Senato) a ottenere da Mattarella un incarico per un governo simil-istituzionale. «Le intese per le presidente», si affretta a precisare candidato premier grillino, «non riguardano assolutamente quelle per il futuro governo».

Tesi tutta da dimostrare.

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