La strage infinita che non si vede in tv e nelle urne

di Isaia Sales
Mercoledì 8 Giugno 2016, 11:19 - Ultimo agg. 11:49
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A Napoli si continua a sparare e a morire per strada. Nel centro storico e in periferia. Di notte e in pieno giorno. In luoghi appartati e in luoghi affollati. Davanti alle scuole e davanti ai turisti. Dentro i locali pubblici, sotto casa e sui marciapiedi. Finiscono ammazzati delinquenti e, troppo spesso, gente che non c’entra nulla con i delinquenti. In nessun’altra metropoli italiana si registra (in questo periodo) un numero così alto di omicidi di mala in rapporto alla popolazione; in nessun’altra città si registra un così alto numero di vittime innocenti per scontri tra bande criminali; in nessun’altra città, tra quelle caratterizzate dalla presenza di criminalità di tipo mafioso, è in corso una faida così lunga e sanguinosa, che si svolge tra le case, i palazzi, i rioni, i quartieri più abitati, nel cuore e alle porte della città.

Che non si arresta, nonostante i numerosi arresti. Non si spara così a Palermo, né tantomeno a Reggio Calabria. Anzi in quelle città non si spara affatto, pur continuando Cosa nostra e la ‘ndrangheta ad esercitare un forte potere in quelle realtà urbane.

Due morti ieri a ridosso della chiusura dei seggi elettorali, ma omicidi anche prima dell’avvio della campagna elettorale e nel corso del suo svolgimento, e ad ora non c’è nessun particolare motivo per dubitare che questa mattanza possa continuare dopo. Eppure il tema della violenza omicida delle bande di camorra non è entrato tra gli argomenti più scottanti dello scontro politico tra i candidati e tra i partiti, come se ci fosse un reciproco patto a non parlarne. È questo l’unico punto su cui non si litiga. Ma neanche i leader nazionali venuti a Napoli a sostenere l’uno o l’altro candidato hanno ritenuto degno di commento il fatto che nella terza città italiana si spara tutti i giorni o per ammazzare nemici o per intimorirli con le «stese», cioè sparando all’impazzata e all’improvviso senza mirare a qualcuno in particolare, costringendo tutti a buttarsi a terra. Non lo ha fatto neanche il presidente del consiglio dei ministri, Matteo Renzi nel suo comizio finale venerdì scorso, né le altre volte che si è trovato a parlare dei problemi della città partenopea. Che pensa di fare il capo del governo per arrestare questo massacro quotidiano? Ha un’idea, conosce il problema, qualcuno gliene parla? Ma neanche Berlusconi e neppure i Cinque Stelle amano parlarne. Sicuramente l’argomento imbarazza, e il silenzio più che espressione di disinteresse manifesta solo tutta l’impotenza verso quanto sta succedendo. È più facile discutere di Gomorra (e su quanto e su come la serie televisiva influenzi l’immaginario e il lessico dei giovani napoletani) che della camorra. È sembrato, a un certo punto, più un problema la rappresentazione mediatica e artistica delle bande di camorra che le loro quotidiane e concrete azioni delittuose. Ci si infiamma più per il virtuale che per il reale.

Che la città sia rassegnata lo si può capire, che lo siano le sue classi dirigenti lo si capisce meno, ma che lo siano i rappresentanti del governo centrale non lo si può capire affatto. Il problema dell’ordine pubblico nella legislazione italiana è compito del governo centrale. Piaccia o meno è così. Le autonomie locali possono concorrere, e in limiti davvero risibili, ma non decidere le strategie per affrontarlo. Poniamo che la terza città d’Inghilterra, Leeds, venisse interessata da un improvviso scontro tra bande criminali e da un numero consistente di delitti di strada, o che ciò avvenisse a Lione, nella terza città di Francia, o a Valencia, terza città di Spagna, o a Monaco di Baviera, terza città di Germania; non sarebbe tutta la nazione ad occuparsene? E non sarebbe questo un argomento di dibattito politico, sociale e culturale permanente? Si dirà: ma lì tutto ciò non avviene, e se avvenisse sarebbe proprio l’eccezionalità a richiamare una straordinaria attenzione alla questione. Dunque, è da attribuire alla normalità e alla quotidianità degli omicidi a Napoli il ridotto interesse che ciò suscita nella politica italiana e tra coloro che decidono le sorti del Paese? E sarebbe questa una spiegazione accettabile per un cittadino napoletano? Poniamo, inoltre, che quanto sta avvenendo a Napoli capitasse a Firenze, o a Milano o a Torino; siamo sicuri che si reagirebbe allo stesso modo?
Certo, i giornali italiani ne hanno parlato, ne parlano le radio e le televisioni, qualche ministro è venuto, ma è tutta qui l’attenzione? Si sta facendo tutto quello che si deve fare in una situazione così eccezionale? Non pare affatto. Non spetta a me, né a questo giornale dire cosa bisognerebbe fare, né si intende segnalare l’inadeguatezza di quelli che stanno operando per fronteggiare questa marea criminale. Anzi. Ma se, nonostante tutti gli sforzi e la generosità delle forze in campo, non ce la si fa, vuol dire semplicemente che le forze fisicamente sono poche o non quante la situazione gravissima meriterebbe. La verità che anche la dislocazione delle forze di sicurezza in Italia ha seguito nel tempo un andamento politico, nel senso che si è fatto fronte alla percezione di insicurezza di alcune aree territoriali del Centro-Nord piuttosto che garantire la sicurezza laddove i criminali effettivamente operano omicidi a ripetizione.

Sicuramente anche le strategie di contrasto debbono essere adeguate alla situazione nuova che si è creata dopo la fine di una fase storica in cui i gruppi camorristici si muovevano secondo determinati e prevedibili comportamenti. A Napoli, è ampiamente noto, si sommano e si mischiano forme delinquenziali di strada con forti e diffuse organizzazioni criminali legate quasi esclusivamente al commercio di stupefacenti. Fenomeni sociali e delinquenziali che in altre città sono separati, qui invece fanno un tutt’uno. Si sono formati, così, dei veri e propri narco-gangster, cioè dei criminali disposti a tutto per controllare spezzoni del traffico di droga e che considerano quelli che incontrano sulla loro strada o soldati da reclutare o nemici da schiacciare. I criminali sono troppi e la concorrenza spietata. Tutti quelli che sono in mezzo non contano niente. Sapere che per migliaia di persone armate il resto della città (non criminale e non assoldabile) conta il resto di niente dovrebbe spaventare più che spingere al silenzio.
 
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