Usa, terzo giorno di shutdown: braccio di ferro tra democratici e repubblicani

Usa, terzo giorno di shutdown: braccio di ferro tra democratici e repubblicani
di Luca Marfé
Lunedì 22 Gennaio 2018, 16:36
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NEW YORK - Terzo giorno di shutdown. L’impasse governativo continua a bloccare le attività degli uffici federali, tecnicamente chiusi e privi di fondi, mentre a Washington si consuma il braccio di ferro della politica.

Alcuni dei risvolti di questa vicenda hanno un che di clamoroso. Su tutti, la chiusura ai turisti della Statua della Libertà rappresenta senz’altro una pagina triste e fortemente simbolica del momento di tensione tra democratici e repubblicani. Un capitolo lungo un intero fine settimana che si chiude oggi soltanto grazie ad un’intesa bilaterale raggiunta tra il National Park Service, l’agenzia statunitense incaricata della gestione dei Parchi nazionali, e lo Stato di New York, che si espone direttamente per tutelare la propria immagine e, nello specifico, quella di un’icona manifesto del Paese.

Restano, però, tutti gli altri problemi.

850mila funzionari pubblici “parcheggiati” in attesa di un accordo e, soprattutto, un muro contro muro in cui nessuna delle due parti, né a sinistra né a destra, intende concedere spazi o aperture.

Lo scontro ruota tra le altre cose attorno al dossier immigrazione. Con i democratici che chiedono maggiori garanzie sui cosiddetti “sognatori”, i giovani figli di immigrati irregolari, e con i repubblicani che, viceversa, non soltanto non intendono ammorbidire le proprie posizioni, ma sognano di finanziare l’oramai famigerato muro con il Messico proprio attraverso un ingente piano di stanziamenti del Congresso.

A breve potrebbero esserci delle novità importanti, con un voto già fissato che consentirebbe di sbloccare almeno parzialmente la situazione e di finanziare per un periodo di tre settimane le attività federali. Tuttavia, se da parte dell’attuale amministrazione sembra trapelare un briciolo di ottimismo, l’opposizione mostra i muscoli e non ha nessuna intenzione di rinunciare ai propri princìpi.

Al centro dell’arena, come di consueto, un Donald Trump scatenato che, a colpi di tweet, scarica tutte le responsabilità di una situazione surreale sui rivali di sempre.

Una vera e propria cascata di parole che, nelle ultime ore, non hanno fatto altro che peggiorare le trattative, allontanando così, di cinguettio in cinguettio, una possibile soluzione.

Una maniera per agitare la sua base elettorale ed infervorarne gli animi. Un trucco per sfuggire alle proprie responsabilità di presidente. La cui figura di business man, di uomo abile nel definire degli accordi di qualsivoglia natura, vacilla di colpo.

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