Usa, il primo tweet 2018 di Trump e la «diplomazia dello scontro»

Usa, il primo tweet 2018 di Trump e la «diplomazia dello scontro»
di Luca Marfé
Martedì 2 Gennaio 2018, 16:01 - Ultimo agg. 3 Gennaio, 08:15
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NEW YORK - Il presidente dei tweet dedica il primo “cinguettio” del suo 2018 al Pakistan e in politica estera riparte esattamente da dove aveva concluso: da quella, cioè, che si potrebbe chiamare “diplomazia dello scontro”.

«Gli Stati Uniti hanno versato incautamente al Pakistan più di 33 miliardi di dollari sotto forma di aiuti negli ultimi 15 anni, e in cambio non ci hanno dato altro che bugie e inganni, pensando che i nostri leader fossero degli stupidi. Danno rifugio sicuro ai terroristi che bracchiamo in Afghanistan, offrendo ben poco aiuto. Mai più!».



Il registro, insomma, è sempre lo stesso ed è teso a rovesciare la gestione che ha caratterizzato gli otto anni firmati Obama: no al dialogo con le potenze straniere che osino prendersi gioco degli Stati Uniti. O che, peggio ancora, vogliano tenere testa o addirittura sfidare l’aquila a stelle e strisce.

Non solo Pakistan, però.

Altro fronte rovente sul quale Trump promette battaglia, già da qualche tempo, è quello relativo all’Iran. A Teheran, infatti, va in scena una vera e propria rivoluzione contro il regime di Rouhani: 23 le vittime accertate in seno alle proteste antigovernative e più di 450 persone arrestate per aver manifestato il loro dissenso. Tra queste, molte rischiano ora la pena di morte.

Il tycoon osserva (e twitta) da lontano, senza perdere occasione per sottolineare le sue ragioni di sempre. E, viceversa, i torti del suo predecessore che cita espressamente in un altro cinguettio, il secondo del 2018.

«Il popolo dell’Iran sta finalmente passando all’azione contro il brutale e corrotto regime iraniano. Tutti i soldi che il presidente Obama gli ha stupidamente regalato sono finiti in terrorismo e nelle loro “tasche”. La gente ha poco cibo, un’inflazione gigantesca e zero diritti umani. Gli Stati Uniti osservano!», come di consueto con tanto di punto esclamativo finale.



Parole, toni e maniere tutt’altro che concilianti. Difficile dargli torto, però. Ne prendono in qualche modo atto anche i colossi del giornalismo americano, gli stessi che con Trump “fanno a botte” da prima ancora che vincesse le elezioni.

Unico colpo di scena, che paradossalmente scompagina carte e retorica della nuova Casa Bianca, è l’apertura di Kim Jong-un che dal canto suo tende una mano agli storici rivali della Corea del Sud. L’avvio di un negoziato, che proprio in queste ore appare di colpo possibile, sottrae alla narrativa di Trump un capitolo importante e rischia persino di incrinare l’alleanza politico-militare tra Washington e Seul.

Per il momento un semplice imprevisto nel quadro di una politica estera volutamente tesa e muscolosa, frutto di un atteggiamento di fondo in grado di far apparire la precedente amministrazione come un ricordo lontano, lontanissimo.
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