Usa-Canada, asse Trump-Trudeau:
così diversi, così vicini

Usa-Canada, asse Trump-Trudeau: così diversi, così vicini
di Luca Marfè
Martedì 14 Febbraio 2017, 21:16
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NEW YORK - A vederli fianco a fianco nel leggendario studio ovale della Casa Bianca, più che una storica ed energica stretta di mano, ci si aspetterebbero parole e maniere affilate come rasoi. E invece no, nulla di tutto questo. Trump e Trudeau sorridono, sono quanto di più cordiale si sia visto in chiave politica su questa sponda dell’oceano oramai da mesi.

Il nuovo nazionalismo statunitense, pronto a tirare sù muri contro lo straniero di turno, che incontra e in qualche modo addirittura abbraccia il cuore giovane del paladino dei più deboli, quel Trudeau che all’anagrafe conta soltanto 45 anni, schierato accanto ai rifugiati  siriani che sta già di fatto accogliendo.

Trudeau è davvero il volto bello dell’America. E non soltanto sul piano estetico. Esiste, infatti, anche l’estetica della politica ed il primo ministro canadese sembra incarnarla alla perfezione. È intelligente, cordiale appunto. Il suo fare gentile quasi mette in difficoltà quel Donald Trump reduce da circa due anni di toni altissimi e spesso spropositati.
Durante il corso della conferenza stampa prevista al termine dell’incontro, entrambi schivano le domande più pungenti relative a distanze e differenze, ed entrambi cavalcano invece la storia di due popoli vicini ma anche e soprattutto amici, sottolineando i tanti punti di convergenza.

Molto bello uno dei passaggi firmati dal premier canadese che richiama alle due Guerre Mondiali, agli Stati Uniti e al Canada «che hanno combattuto e che hanno conosciuto la morte e la vittoria fianco a fianco».

Ma, al di là delle tante emozioni vibranti in sala, sono economia e relazioni commerciali a fare da sfondo a questa rinnovata amicizia che disattende di colpo le tensioni della vigilia e si predispone invece nel migliore interesse comune.

C’è spazio, inoltre, anche per dei ringraziamenti a scena aperta. Ed è proprio Trump a fare gli onori di casa e a prendere l’iniziativa in questo senso con un ampio grazie rivolto al governo vicino e amico per il «supporto costante nella lotta al terrorismo internazionale ed in particolare ad Isis», dimenticando per un lungo istante i contrasti sul suo Muslim Ban e su quell’accoglienza, di tutta risposta, dichiarata pubblicamente proprio dall’uomo che gli sta accanto in sala.
E Trudeau non perde occasione per rincarare, in senso positivo, la dose di amicizia e rispetto sottolineando che «le relazioni tra vicini sono sì complesse, ma Canada e Stati Uniti restano l’uno per l’altro il partner essenziale per eccellenza». E conclude: «L’ultima cosa che i miei concittadini si aspettano da me è che sia io a fare le scelte di un altro governo».

Nessuna ingerenza, dunque. Soltanto due modi diversi di intendere la sicurezza nazionale, come ribadito dai massimi esponenti delle due amministrazioni. Un Trump, insomma, meno imprevedibile e senz’altro più composto di quanto si potesse pensare, soprattutto nei confronti di chi sembrava avergli sottratto la scena in relazione ad uno dei temi tutt’ora più discussi in casa statunitense: quello dei rifugiati, appunto.
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