Unesco, non soltanto i pizzaioli: patrimonio anche le bocce di osso

Unesco, non soltanto i pizzaioli: patrimonio anche le bocce di osso
di Francesco Durante
Domenica 10 Dicembre 2017, 12:51 - Ultimo agg. 17:15
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L'altro giorno a Jeju, in Corea del Sud, il comitato dell'Unesco per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale dell'umanità ha premiato in tutto trentatré candidature espresse da un po' tutto il mondo. Tra queste, l'unica italiana: quella che riguarda l'arte del pizzaiuolo napoletano, e che, malgrado la sua denominazione d'origine controllata (parliamo infatti di pizzaiuoli napoletani, non genericamente di pizze), si può a buon diritto considerare la più global di tutte.

L'arte tradizionale partenopea è quindi stata accolta nell'empireo delle cose da salvare; ed è in buona quanto assai varia compagnia. Così varia che soltanto un paio fra le altre trentadue candidature premiate hanno a che vedere con il cibo. La prima riguarda il modo di preparare e presentare un piatto tradizionale dell'Azerbaigian, che si chiama dolma ed è un involtino di foglie ripiene di carne macinata e/o altro (e non si capisce perché si sia voluto esaltare il solo dolma azero, visto che quella pietanza è tipica di tutto il mondo mediorientale o, meglio, ex ottomano: si pensi ai gustosi dolmades greci). La seconda è quella dello Nsima, la tradizione culinaria del Malawi (peraltro uno dei paesi più poveri e affamati del pianeta), alla cui base c'è una specie di porridge molto denso fatto con la farina di granturco.

Fra le new entries della Intangible Cultural Heritage of Humanity, la parte del leone la fanno feste, danze e cerimonie folkloristiche caratterizzate da costumi sgargianti, canti, suoni e rituali particolari. Ecco per esempio i Kurenti, maschere grottesche che brandiscono bastoni e campanelli, tipiche del carnevale sloveno, a richiamare un poco il gusto horror di Halloween. Ed ecco il ben più famoso carnevale di Basilea, il più grande e spettacolare della Svizzera e forse dell'intero arco alpino. Dalla Bolivia, il complesso dei riti e dei gesti legati al viaggio rituale a La Paz durante la feria de la Alasita, che ha inizio il 24 gennaio e dura circa un mese, all'insegna di un sincretismo solidale di cui sono per esempio espressione le bamboline portafortuna di Ekeko, la dea india della fertilità, che vengono benedette nelle chiese cattoliche. E dall'India il celebre Kumbh Mela, l'oceanico raduno di pellegrini, con immersione lustrale nel fiume sacro (non solo il Gange), e poi con canti, raduni, esibizioni di guru e santoni ecc. ecc.
Il riconoscimento ICH è toccato pure ai riti associati al primo marzo e relativi all'inizio della primavera: si tratta, in questo caso, di una candidatura multinazionale, riguardando tradizioni che hanno luogo in Bulgaria, Macedonia, Moldavia e Romania e che hanno in comune l'utilizzo in varie forme di fili bianchi e rossi intrecciati, a simbolica garanzia dell'armonico passaggio dall'inverno alla stagione del risveglio della natura.

Hanno avuto successo anche molte candidature che avevano per oggetto tradizioni musicali. Quella della musica e della danza Zaouli delle comunità Guro della Costa d'Avorio, contraddistinte da magnifiche maschere rituali che intendono essere un omaggio alla bellezza femminile. O quella della musica Punto di Cuba, evoluzione di una tradizione importata dall'Andalusia e fondata sulle improvvisazioni poetiche dei cantanti. Tutelata anche un'altra e più conosciuta tradizione musicale, quella dei Rebetiko greco, frequentata anche da artisti nostrani come per esempio Vinicio Capossela. Assai meno conosciuti i canti slovacchi di Horehronie, basati su una forma polifonica con alternanza di parti solistiche e corali. Per non parlare del complesso di tradizioni musicali, poetiche e artistiche del Bài Chòi (Vietnam centrale); o della musica Khaen, che viene dal Laos, cui strumento principale è una specie di zampogna fatta di canne di bambù di varia lunghezza; o della tradizione Sega Tambour dell'isola di Rodrigues (Mauritius), che si esprime in musiche, canti e danze. Salvaguardia Unesco anche per la danza Kochari dell'Armenia, per la danza Kolo della Serbia, per la tradizione Kushtdepdi canora e ballerina del Turkmenistan, e per quella irlandese dello Uilleann Piping, arte delle cornamuse (quelle irlandesi; non ho controllato, ma probabilmente quelle scozzesi erano già tutelate).

 

Tornando in Asia centrale, ecco poi il riconoscimento per il Chogn, un palio disputato in Iran da due squadre di cavalieri e accompagnato da musica e dalla esibizione di cantastorie.
A questo incredibile repertorio folklorico si accompagnano poi le molte manifestazioni di artigianato tipico rientrate nell'ultimo lotto di riconoscimenti Unesco. Si va dall'Al-Qatt Al-Asiri, una tecnica femminile di decorazione d'interni tipica dell'Asir (Arabia Saudita meridionale); all'arte dello Shital Pati con cui s'intrecciano stuoie a Sylhet in Bangladesh; alle tecniche di intaglio del legno in uso a Konjic, nella Bosnia Erzegovina; all'artigianato delle figurine di creta di Estremoz nella regione dell'Alentejo in Portogallo; e a quello degli organi musicali in Germania. Si tutela poi l'arte iraniana e azera di costruire e suonare uno strumento musicale ad arco chiamato kamantcheh o kamancha nelle rispettive lingue.
Tra le cose più strane che l'Unesco ha voluto portare all'attenzione del mondo, abbiamo inoltre: il gioco degli Assyk, ovvero il bowling del Kazakistan, come è stato definito, che si gioca con bocce fatte d'ossa di ovini; l'arte Pinisi, ovvero quella dei maestri d'ascia che fanno le barche nella parte meridionale dell'isola di Celebes, Indonesia; l'arte dei mugnai olandesi e il loro modo di far funzionare i mulini a vento e ad acqua; le complesse tecniche artigianali che stanno alla base della confezione dei cappelli pinta'o del Panama. Infine, quella che per me è la più bella e curiosa di tutte, ovvero il sistema tradizionale che nel distretto di Corongo, nel Perù settentrionale, presiede allo sfruttamento delle risorse idriche in agricoltura, affidato alle valutazioni di un giudice che garantisce una gestione equa e sostenibile delle terre e delle acque. Un sistema saggio e previdente, le cui origini daterebbero addirittura al periodo pre-incaico, dunque a molto, ma molto prima che l'uomo bianco si presentasse da quelle parti e un indio potesse osservare, non senza ragione, che s'era guastato l'ambiente.
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