L’Europa e la Brexit, un nuovo ordine oltre il caos

di Biagio de Giovanni
Martedì 28 Marzo 2017, 23:02 - Ultimo agg. 29 Marzo, 08:35
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Oggi inizia la trattativa tra Gran Bretagna e Unione europea dopo il voto su Brexit, ma ieri il Parlamento della Scozia ha votato a favore di un futuro referendum che possa decidere, a Brexit avvenuta, sulla possibilità di separazione dall’Inghilterra, al fine di restare, in quanto Scozia, come Stato-membro autonomo nell’Unione europea. La cosa era attesa, il problema era stato anche oggetto di un incontro della leader scozzese Sturgeon con la May che aveva contestato anche tecnicamente questa possibilità. Qualunque sarà l’esito giuridico della disputa – e naturalmente la cosa non è affatto di poco conto - per ora questa è l’occasione per riflettere ancora una volta sulle incertezze e le sorprese possibili in un mondo in tumulto.

Ogni evento sembra avere la sua controfaccia, come avviene nelle situazioni di transizione. Trump vince, ma non riesce ad avviare la sua presidenza, ostacolato dalle Corti sulla questione del bando anti-musulmano e dal suo stesso partito repubblicano sulla gran questione della sanità. La Gran Bretagna vota per lasciare l’Unione con un referendum vinto di strettissima misura da chi vuole uscire, ed ecco che si profila la possibilità che da questo medesimo atto nasca una scissione ulteriore, la divisione in pezzi e bocconi della stessa Gran Bretagna. Oggi inizia la difficile, aggrovigliata trattativa su Brexit, e migliaia di persone a Londra sono scese in piazza con la parola d’ordine del «restare», la quale non potrà avere effetti assoluti (la decisione di lasciare l’Unione è stata presa democraticamente e sarà realizzata), ma Brexit potrà avere mille volti diversi.

E dunque è l’inizio di una lotta, si esce dalla propaganda, da parole d’ordine emozionate, si entra in un merito terribilmente difficile. E la cultura, le culture tornano in campo per affrontare problemi irti di difficoltà, è quasi un imperativo che ha un tono nuovo rispetto anche a poco tempo fa. Insomma, nel mondo dell’Occidente, su cui va fermata l’attenzione, e che appare il più esposto ai nuovi «populismi» di opposte marche tra loro, c’è una situazione di lotta tra contrastanti visioni, come se la prima crisi politica che attraversa la globalizzazione si riflettesse in modo abbastanza traumatico e gravido di incertezze sulle forme politiche che si possono delineare per il futuro.

Una situazione di lotta che si allarga anche agli Stati continentali, dove le prossime elezioni di Francia e Germania già delineano uno scontro (che assume quasi i caratteri di una lotta finale) tra il tentativo di destabilizzare l’Unione e quello di ricollocarla su un carreggiata diversa. Si è in presenza di una situazione assai più mobile e problematica di quanto non lasciasse supporre, solo pochi mesi fa, quella che pareva una valanga che non poteva più esser fermata: all’insegna della lotta contro le élite diventate «casta», e contro ogni forma di consolidamento di una classe dirigente politica.

E così Brexit, Trump, muri da tutte le parti, avanzata del lepenismo in Francia e dappertutto movimenti antieuropei e anche l’Italia nel caos. E il continente Russia, un ospite inatteso e compatto, che torna al centro dell’attenzione mondiale. Si badi, tutti i temi che hanno provocato quegli stati d’animo e quelle forme di rivolta restano sul tappeto, nessuno risolto, tutti aperti, ma è come se altri aspetti della realtà incominciassero a far valere i loro diritti, a comunicare a una opinione pubblica incerta e arrabbiata che si apre uno scontro su prospettive tra loro opposte. E quando ciò avviene, allora potrebbe verificarsi un altro fenomeno, il ritorno in campo di culture politiche che sono state come sotterrate dal ribellismo che fa da sottofondo a tutto, e può avvenire che esse riprendano la parola e ritrovino un linguaggio capace di comunicazione.

Giacché proprio questo è il punto sul quale si gioca molto del destino di Europa, e non solo. Devono ritornare in campo le idee, non quelle di togati accademici, ma quelle che si formano nello scontro politico quando ci si accorge che la fase della rivolta e dell’arrabbiatura deve risolversi in programma, perché i nodi giungono al pettine e ci si scontra con la durezza dei problemi reali e delle soluzioni possibili. A proposito dei sessanta anni scaduti qualche giorno fa, e che riguardavano la fondazione della nuova Europa, la sua forza originaria erano le idee, che poi si sono come perse per strada, e l’Europa è diventata, senza idee, il fantasma di se stessa. Ora, dinanzi ai problemi veri che incalzano, lo scenario può cambiare, o almeno avviarsi a cambiare.

Siamo partiti dal complicarsi della situazione britannica, sintomo dell’incertezza che ho provato a descrivere e di una difficile novità che si deve costruire, inventare.
Bene, una cosa è chiara. Con la trattativa che si apre oggi si esce dal grido emozionato: restare, lasciare, e si entra nel giro dei problemi concreti e di prospettive opposte. Ecco che cosa può significare la necessità del ritorno delle culture politiche per governare per davvero la turbolenza del mondo. Il mondo non può essere sempre tumulto, parole d’ordine per una folla emozionata, deve essere anche ordine, ricerca di un nuovo ordine. Forse entriamo in una fase nuova, accompagnati dal complicato ma necessario mondo delle idee.

 
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