Referendum, Obama con Renzi: «Le riforme spinta per l'Italia»

Referendum, Obama con Renzi: «Le riforme spinta per l'Italia»
di Alberto Gentili
Mercoledì 19 Ottobre 2016, 08:11 - Ultimo agg. 18:39
4 Minuti di Lettura

Washington. «Il Sì al referendum aiuterà l'Italia, le riforme di Renzi sono quelle giuste». Di più: «Caro Matteo faccio il tifo per te e per il tuo successo. E ti dico che dovresti restare al timore comunque vada». Gli sherpa avevano lavorato bene, l'ambasciatore Armando Varricchio si era dato un gran da fare per istruire la visita di Stato. Ma neppure Matteo Renzi si aspettava che Barack Obama dopo un faccia a faccia di 90 minuti nello Studio Ovale - scendesse apertamente in campo per il Sì. E che lo invitasse a restare al suo posto anche in caso di sconfitta il 4 dicembre.

Naturalmente nulla è gratis in politica estera. Nessun sostegno è offerto, tantomeno dalla Casa Bianca, senza un interesse nazionale. E Obama dice chiaro e tondo perché fa il tifo per Renzi: la stabilità dell'Italia, il rafforzamento del premier italiano «giovane, bello, che ama twittare e fa tante riforme», è utile agli Stati Uniti per combattere l'avanzata in Europa «dei populismi» alla Donald Trump. Populismi che «si affermano e si sviluppano nell'Unione europea a causa del ristagno dell'economia» e per colpa di «un fenomeno migratorio mal gestito». Parole più o meno identiche a quelle pronunciate da Renzi.

Per il presidente americano, insomma, il premier italiano è un alleato importante per cambiare la politica europea improntata all'austerity. Per «puntare sulla crescita». E Renzi diventa «un partner fondamentale», anche a causa dell'uscita della Gran Bretagna dall'Unione: una sorta d'interfaccia per Washington sul fronte europeo. Un partner, però, che in cambio di questo «rapporto privilegiato», deve (come già fa) mandare soldati in Iraq per combattere l'Isis, lasciarli in Afghanistan e contribuire alla stabilizzazione della Libia. Oltre sostenere le sanzioni contro Mosca e spedire qualche fante in Lettonia in ambito Nato. «Patti chiari, amicizia lunga», chiosa Obama in italiano.

Che il rapporto sia speciale, i due leader lo fanno capire dalle prime battute. Già dal mattino, quando sul prato della Casa Bianca va in scena la pomposa liturgia prevista dal protocollo delle visite di Stato. Squadroni schierati, banda che suona inni e marcette, militari nelle divise storiche dell'800. Dignitari e first lady. «Amiamo il vino, il cibo, Sophia Loren Dopo tante visite in Italia con Michelle, mi sento un italiano onorario. Questo è il mio ultimo impegno ufficiale, ho lasciato il meglio alla fine», è l'esordio di Obama prossimo all'addio alla presidenza: l'8 novembre l'America elegge il suo successore. Hillary Clinton, probabilmente. Renzi ricambia: «La storia è maestra e la storia sarà gentile con te Barack, perché il tuo Paese ha ricominciato a crescere nonostante la crisi». Segue promessa: «Continueremo il lavoro cominciato sotto la tua presidenza».


Poi c'è il lungo bilaterale nello Studio Ovale. Poi scatta la conferenza stampa (durata un'ora) nel Giardino delle rose. «Il mio italiano è decisamente peggio del tuo inglese», scherza Obama. «Ma voglio dire che abbiamo tanti alleati, pochi però sono forti, bravi e affidabili come l'Italia». E ricorda l'impegno in Afghanistan, Iraq («siete il secondo Paese per impiego di uomini»), Libia e il sostegno alle sanzioni anti-Mosca per «l'aggressione in Ucraina».
Sincero, il presidente dice chiaro perché sostiene Renzi: «È interesse strategico degli Usa avere un'Europa forte. Ma questo non accadrà se non scatterà la crescita economica, in quanto senza crescita vincono i populismi. Per questo facciamo il tifo per Matteo: ha rispettato tutti gli impegni Ue, ha fatto grossi progressi sui conti e tante riforme. Inoltre Matteo incarna la nuova generazione di leader europei». Ed ecco la sponda sull'immigrazione: «L'ondata incontrollata di profughi crea problemi ai governi e aiuta i partiti populisti. Chi sta nell'Unione europea non può godere solo dei vantaggi, deve condividerne anche i costi e mostrare solidarietà senza lasciare sole l'Italia e la Grecia».

Renzi appare sorpreso. Non sta nella pelle. Un giornalista americano gli chiede se si dimetterà dopo il 4 dicembre. Lui cita Lucio Battisti: «Lo scopriremo solo vivendo. Ma dico che vincerà il Sì, così non si porrà questo problema. E aggiungo: non credo ci sarebbero cataclismi se vincesse il No. Ma di certo con la vittoria del Sì, l'Italia sarebbe più forte e stabile e potrebbe fare molto di più per cambiare le cose in Europa». Appunto, proprio ciò che chiede (e spera) Obama. E presto la Clinton: oggi va in scena il pranzo tra Renzi e il suo staff.