«Il Guernica di Picasso non andrà
mai nella città che fu bombardata»

Il Guernica di Picasso
Il Guernica di Picasso
di Paola Del Vecchio
Martedì 25 Aprile 2017, 15:01 - Ultimo agg. 15:47
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Madrid. “Non sono stato io, l’avete fatto voi”. E’ la celebre risposta che Pablo Picasso diede a Otto Abetz, ambasciatore tedesco nella Parigi occupata dai nazisti, che gli chiedeva come avesse dipinto il Guernica, divenuto il simbolo della storia universale dell’orrore. Domani si compiono 80 anni dal primo bombardamento di massa sulle popolazioni civili della storia, che ispirò il murales alto 3,5 metri per 8 di larghezza, nei toni neri, grigi e bianchi, dove esseri umani e animali si ritorcono in un’apocalisse di morte e dolore. Le bombe sganciate il 26 aprile del 1937, in piena guerra civile spagnola, dalle forze aeree italiane, dalla Legione Condor e da una divisione dell’aviazione tedesca alleate delle truppe di Francisco Franco, con un martellamento durato ore, scaricarono tonnellate di esplosivo sulla popolazione inerme della cittadina basca di Guernika. Oltre 300 i morti, secondo alcune stime, più di 1.600 per altre: impossibile ricostruire l’elenco delle vittime, per la mancanza di registri dei cadaveri. Di certo fu il primo attacco terroristico su civili, uomini, donne e bambini, senza possibilità di scampo. La prova generale delle mattanze di innocenti, gli attacchi indiscriminati continuati da allora, e che proseguono senza tregua nella Siria di Bashar Al Assad.

Quando, agli inizi del 1937, Picasso ricevette dal governo repubblicano l’incarico di realizzare un’opera per il padiglione spagnolo dell’Esposizione internazionale di Parigi, rispose di non essere sicuro di riuscire a offrire quello che si aspettavano. E, difatti, per lungo tempo naufragarono tutti i suoi tentativi di dare forma alla tela. Fino a che la barbarie di Guernika, di cui venne a conoscenza attraverso le corrispondenze de L’Humanitè, scosse così profondamente la sua coscienza, da indurlo a lavorare freneticamente al murale, cominciato il 1 maggio, con centinaia di bozzetti, e terminato il 4 giugno, in appena un mese.

Come in ogni anniversario, ottant’anni dopo la città di Guernika tenta di curare le ferite, con una serie di atti pubblici incentrati sulla memoria, la pace e la riconciliazione. E, soprattutto, con la richiesta di trasferire ‘a casa’, in Euskadi, l’opera maestra di Picasso, icona della “repressione contro i popoli e i diritti umani, della guerra e del genocidio”. Una petizione in questo senso, presentata dal partito nazionalista EH Bildu sarà discussa giovedì nel Parlamento basco, anche se non trova su posizioni concordi il Partito nazionalista basco e i socialisti che appoggiano l’esecutivo di Vittoria.

Più di tutti, è contrario a un trasferimento del quadro a Guernika o al Museo del Prado, che da anni lo reclama, Manuel Borja-Villel, il direttore del Museo Reina Sofia, divenuto il ‘custode’ del manifesto di Picasso contro la violenza della società moderna. “L’uscita del Guernica da questo museo è un’idea infantile, reazionaria e peraltro assurda”, ha spiegato Borjia-Villel in un’intervista a El Pais. E ha ricordato che “il Reina Sofia fu creato intorno a questa opera”.  Per il direttore, “si sono dette molte stupidaggini, come quella secondo cui Picasso avrebbe voluto il Guernica al Prado: non c’è una sola prova di questo, ma solo un sentito dire di bocca in bocca…”.  Fra i pretendenti della prima ora, anche il museo Guggenheim di Bilbao, che già 20 anni fa, quando aprì le porte, presentò la richiesta di ospitare il capolavoro  dell’artista malagueño per l’inaugurazione della pinacoteca. E, da allora, ancora non vi ha rinunciato. Pretese tutte rispedite al mittente dal direttore del Reina Sofia, che non lesina critiche:  ‘i Guggenheim non sono più musei ma raffinati centri commerciali”, che rispondono alla domanda di parchi tematici della società, assicura. E, per giustificare il suo diniego, rimanda al rapporto scientifico realizzato nel 1997 dal museo madrileño di arte moderna sul Guernica, secondo cui “non bisogna esporre l’opera a nessun tipo di movimento o trasferimenti fuori dalle sale del Reina Sofia”, per esigenze di conservazione.

Da settimane, interminabili file di visitatori circondano l’edificio Sabatini del museo madrileño, per visitare l’esposizione ‘Pietà e terrore in Picasso. Il cammino a Guernica’, che per l’ottantesimo anniversario il Reina Sofia propone fino a settembre. Curata da Timothy James Clarck e Anne M. Wagner, raccoglie 180 opere (provenienti da 30 delle maggiori istituzioni e collezioni private al mondo), precedenti e successive al Guernica, che narrano le circostanze personali e storiche, la radicale trasformazione artistica vissuta da Picasso a partire dalla fine degli anni 20, culminata nella composizione dell’icona della storia dell’arte. L’itinerario esplora la metamorfosi sperimentata fino alla metà degli anni ’40 dell’arte del pittore di Malaga, dall’iniziale ottimismo e intimismo del cubismo, alla ricerca di una nuova immagine del mondo, fra la bellezza e la mostruosità, nel momento di grande convulsione degli anni Trenta, con fascismo, la guerra civile spagnola e l’orrore in incubazione della II Guerra Mondiale. “Dal 1925 Picasso è invaso da una progressione di corpi rotti e smembrati, scene di azione furiosa, violenza, paura e dolore, che popolano la stanza di mostri e fantasmi”, ha spiegato Timothy Clark. Poi la fase di dubbi e di blocco artistico, quando tenta di esprimere mediante la pittura la violenza della società moderna. Infine, l’effetto choc del bombardamento di Guernika, che funge da elemento catalizzatore della rabbia e dell’indignazione, confluite nell’opera sintesi di tutti gli esperimenti artistici precedenti: un urlo perturbante sull’orrore umano.
 
 
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