Meloni-Macron, da Kiev ai dubbi su Ursula von der Leyen: al consiglio Ue il bilaterale dopo gli screzi

Roma e Parigi sono per la proroga degli aiuti di Stato all'agricoltura. Giorgia intanto "richiama Orban su Putin"

Meloni-Macron, da Kiev ai dubbi su Ursula von der Leyen: al consiglio Ue il bilaterale dopo gli screzi
Meloni-Macron, da Kiev ai dubbi su Ursula von der Leyen: al consiglio Ue il bilaterale dopo gli screzi
di Francesco Malfetano
Venerdì 22 Marzo 2024, 22:52 - Ultimo agg. 23 Marzo, 12:17
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Mostrarsi compatti su Kiev e sul futuro dell’Europa vale più di mille foto. E quindi ai tavolini a cinque stelle del bar dell’hotel Amigo, quando Emmanuel Macron dialoga fitto e in solitaria con un gruppo di giornalisti francesi (e Francesco Lollobrigida festeggia il compleanno qualche passo più in là, con tanto di piccola torta e Tanti auguri di rito), Giorgia Meloni stavolta non si fa vedere. L’appuntamento con le presidént è già fissato per il giorno dopo - ieri - a margine dei lavori conclusivi del Consiglio europeo. Un «tête-à-tête» spiegano dallo staff della premier, con al centro l’Ucraina e il «drammatico incremento degli attacchi russi contro la popolazione civile».

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Lo scenario

Esattamente il tema centrale del summit europeo, che però pareva avesse aperto un solco tra Palazzo Chigi e l’Eliseo alla vigilia della due giorni di Bruxelles. Il bellicismo macroniano infatti - pronto a inviare le truppe francesi in Russia - non convince per nulla Meloni che, anzi, per fini elettorali cerca di evitare di legare troppo la sua immagine al conflitto. Lo dimostrano i suoi canali social in cui non compiono foto della recente visita a Kiev. E lo dimostrano le dichiarazioni con cui ieri ha smontato «il clima di guerra» percepito da alcuni dei leader europei presenti, peraltro appena qualche ora prima che ci fosse un attacco terroristico a Mosca. C’è elmetto ed elmetto. E quello indossato da Meloni è solo per ripararsi dalle offensive che il governo si aspetta in vista del voto di giugno, e non da «mettere in testa per combattere» in quello che l’italiana definisce comunque un «tempo di tempesta» in cui «nessuno affronta le questioni con leggerezza». Tornando al dualismo con Macron, distanze e mai nascosta poca sintonia tra i due restano, ma sono meno marcate di quanto si possa credere e comunque aggirabili in nome di un pragmatismo che è inevitabile per entrambi. Anche nell’ottica della costituzione della prossima Commissione europea per cui, tra l’altro, Meloni argina l’ungherese Viktor Orbán, reo di essersi congratulato con Vladimir Putin per la rielezione, ma evita di scaricarlo («Non è un dibattito all’ordine del giorno» il suo ingresso nella famiglia meloniana Ue dei Conservatori). 

La commissione

Del resto a conclusioni del Consiglio bollinate, risulta non affiancare il cannoneggiamento aperto da qualche giorno Macron sulla ricandidatura di Ursula von der Leyen al freno a mano tirato ieri da Meloni sulla politica tedesca: «Il tema che mi appassiona è cosa fare: ci sono dei candidati, gli europei voteranno e dopo il voto si vedranno quali sono i pesi».

Un macigno che per di più arriva quando incognite e suggestioni attorno a Mario Draghi - carissimo proprio a Macron ma considerato spendibile più per il Consiglio Ue che per la Commissione - tornano a levarsi forti al punto che tra i più vicini alla premier ci si limita ad un’impeccabile «è tutto prematuro», senza negare rapporti e contatti tra Meloni e il suo predecessore.

La tregua

Quando l’aereo di Stato lascia Bruxelles per una visita privata a sorpresa alla fiera Cosmoprof di Bologna da parte della premier, in Belgio resta la sensazione di un asse Roma-Parigi meno scricchiolante di come si presentava all’arrivo dei due. Tant’è che il congiunto «impulso italiano e francese» viene rivendicato come fondamentale tanto per ricompattare i leader attorno al cessate il fuoco in Medio Oriente, quanto sul pacchetto agricolo, con il Consiglio che ha dato il suo via libera ai dazi sul grano di Russia e Ucraina e alla «proroga degli aiuti di Stato in campo agricolo» cari ai “trattori” che hanno messo all’angolo entrambe le Capitali nelle scorse settimane. La tregua tra Meloni e Macron è però centrata anche sui temi della Difesa europea e delle migrazioni. Entrambi alle prese con un debito pubblico sproporzionato, sono convinti sostenitori della necessità di impegni comuni per implementare le capacità difensive del Vecchio continente. «Bisogna fare i conti con le risorse ma la proposta di allargare il mandato della Banca Europea degli Investimenti trova molto consenso - ha detto Meloni - secondo me si può fare qualche passo avanti ulteriore, però è un dibattito in divenire».

La premier e Macron lavorano cioè a braccetto per assicurare risorse aggiuntive al miliardo e mezzo preventivato, nella consapevolezza che se gli attesi eurobond sono alle prese con i veti incrociati dei frugali bisognerà trovare una «soluzione creativa» verso cui spingere l’intero blocco dei Ventisette. Un po’ come Meloni è riuscita a fare con la dimensione esterna della migrazione. Anche sul punto la convergenza con Macron è parsa «forte», specie perché i partenariati rafforzati con i Paesi di origine e transito sono una fonte di consenso elettorale a cui il francese vorrebbe attingere al più presto. Come rivelano fonti diplomatiche il modello tunisino potrebbe presto allargarsi includendo Marocco, Costa d’Avorio e Senegal. Tutti Paesi francofoni da cui l’influenza francese è stata via via ridotta. Tutti Paesi in cui il cappello di un’iniziativa Ue consentirebbe a Macron di instaurare un nuovo dialogo. Tutti Paesi in cui, a differenza dell’Egitto o della Libia, Meloni lascerebbe senza troppi patemi la scena al francese.

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