Manchester, la crudeltà
dei nemici della vita

di Alessandro Perissinotto
Mercoledì 24 Maggio 2017, 08:36 - Ultimo agg. 08:37
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Il concerto è finito, o quasi. E tu sei felice. Perché hai 13 anni, perché hai visto e ascoltato dal vivo la tua cantante preferita e perché, in testa, hai il cerchietto con le orecchie da coniglio, lo stesso che lei, Ariana Grande, indossa sulla copertina del suo ultimo album. Sei felice fino a che non senti lo scoppio; o forse senti solo le schegge, i chiodi, i pezzi di ferro che ti strappano via la carne e anche la vita. Ed è importante che tu sia felice in quel momento, perché così quelle schegge, quei chiodi, quei pezzi di ferro faranno più male; no, non a te. Faranno più male agli altri, ai tuoi genitori, ai tuoi amici, persino a noi, che stiamo in Italia e che non ti conosciamo. Già, perché, forse non lo sai, ma le bombe hanno un'onda d'urto che si allarga, come quando lanciavi le pietre nello stagno e facevano tutti quei cerchi. Nei primi centimetri, nei primi metri, l'urto della bomba devasta i corpi, ma più in là, quando l'onda da fisica diventa emotiva, devasta gli animi, le coscienze, i cuori. Ed è per questo che l'attentatore ha voluto colpirti nel momento di massima felicità, perché il tuo dolore diventasse quello di tutti, perché la morte improvvisa di una ragazzina felice è più straziante; e lui voleva straziarci. 

Al mio paese, molti anni prima che tu nascessi, c'era un gruppo terroristico che, riprendendo un vecchio detto, sosteneva: «Colpirne uno per educarne cento»; questi nuovi terroristi non si spostano di tanto, in fondo, si dicono, «Colpirne uno per spaventarne mille»: ieri sera hanno colpito te. E tutti noi ci siamo detti: al suo posto avrebbe potuto esserci mia figlia, o mio nipote. 

E abbiamo avuto un po' di paura in più, perché, tu non lo puoi sapere, ma, a una certa età, il dolore e la paura che puoi provare per il destino di un bambino supera quello che provi per il tuo di destino. Ieri sera, a Manchester, c'erano degli adulti feriti che si rifiutavano di farsi curare perché prima volevano sapere cosa ne era dei loro figli: è così che funziona l'amore dei genitori ed è così che funziona un principio ancora più basilare, quello della conservazione della specie, della vita. In ogni guerra c'è sempre chi sceglie un'arma che produca il massimo del terrore con la minima spesa: i jihadisti hanno scelto i bambini. Sì, certo, i bambini li hanno bersagliati anche gli eserciti occidentali, li hanno bombardati ad Aleppo, li hanno bruciati col Napalm in Vietnam, ma nella jihad di oggi, i bambini, e soprattutto le bambine, da «danno collaterale» (è un'espressione ipocrita e orrenda, dimenticala subito, se puoi) diventano obiettivo primario, diventano strumento per amplificare il dolore. E, anche se questo non ti consola, sappi che non sei stata tu la prima. Dopo la strage di ieri sera, nella Manchester Arena, sono stati in tanti ad affermare che, con questo attentato, l'estremismo islamista ha fatto «un salto di qualità»: non è vero, a meno di non voler sostenere che i bambini di Beslan erano di qualità inferiore rispetto a quelli inglesi. Già, perché a Beslan, nell'Ossezia del Nord, di bambini e bambine ne sono morti 186, nel 2004: prima li hanno sequestrati e poi li hanno massacrati. Dal punto di vista morale, non c'è stato nessun «salto di qualità», nessuna discesa nelle profondità dell'orrore, perché il fondo dell'orrore, a Beslan, era già stato toccato. Così come è stato toccato a Manchester, solo che qui ci sembra più vicino, solo che qui, sull'orlo di quella voragine, ci siamo proprio affacciati, là invece Il novanta percento dei miei e dei tuoi concittadini non sa neppure dove sia l'Ossezia del Nord, Manchester invece Eppure, pensa che alcuni dei terroristi che hanno ucciso i bambini a Beslan venivano proprio dall'Inghilterra: loro sì che lo sapevano dov'era l'Ossezia del Nord. 

Il brutto di questa guerra, e tu ora lo sai, è che i nemici non hanno «la divisa d'un altro colore», perché quello che ieri ti ha uccisa, a vederlo così, per la strada, lo avresti scambiato per uno della tua compagnia, magari un po' più grande, ma forse neanche troppo, un tipo normale, avresti detto. Il brutto di questa guerra è che i nemici non sono nemici di questa o quella nazione, sono nemici della vita stessa, per questo rinunciano con disinvoltura alla loro, per questo uccidono persone che alla vita si stanno affacciando ora, che saranno la vita di domani. Li hanno convinti che odiare questa vita frutterà loro una vita migliore in un altro tempo e in un altro spazio e chi li ha convinti non odia né la propria vita, né la bella vita, né i soldi che si fanno con il petrolio e con la complicità dei potenti. Loro non fanno differenze; per loro, i ragazzi che uccidono e quelli che vengono uccisi hanno la stessa funzione. Per loro, i teenagers che si fanno esplodere o che partono come foreign fighter e quelli che si godono un concerto con le orecchie da coniglio in testa sono ciò che sono sempre stati i ragazzi agli occhi dei potenti: carne da cannone, carne da macello. Potrei raccontarti la storia dei Ragazzi del '99 morti a diciott'anni in trincea o quella della piccola vedetta lombarda, ma te ne racconto una più vecchia, per dimostrarti che il problema non è l'Islam, il problema è il potere. 
C'era una volta un uomo, si chiamava Ugolino, conte Ugolino, e viveva a Pisa; un giorno i suoi nemici (tra i quali c'era un vescovo) lo catturarono e lo chiusero in una torre, a morire di fame, e perché soffrisse di più, nella torre assieme a lui ci chiusero anche i suoi figli e i suoi nipoti, dei bambini come te. No, ieri sera, l'orrore del potere non ha fatto un salto di qualità, è da sempre che agisce così: per referenze chiedi a Erode. Mi dispiace. 
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