La crisi del mondo globale

di Biagio de Giovanni
Sabato 23 Luglio 2016, 10:37 - Ultimo agg. 24 Luglio, 11:16
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È esplosa, nel mondo, la prima crisi politica della globalizzazione. Segnale potente di crisi fu l'attentato alle torri gemelle, nel 2001, che inaugurò la stagione del terrore globale, un atto sofisticato, tecnicamente assai complesso, quasi, si può dire, elitario. La crisi del 2007, pur essa propria del mondo globale, nacque dal disordine dei mercati finanziari, dal frenetico movimento indotto nel mondo da un capitalismo finanziario senza freni, tra Stati Uniti, Europa e poi resto del mondo: essa è tutt'altro che esaurita, anche se vive ormai sotto traccia, soprattutto nei Paesi dell'euro.

La vera novità della crisi che ora viviamo, pur connessa a quelle del passato, è che essa è diventata direttamente politica, sta agendo con elementi di divisione tra tutti, in un mondo che la globalizzazione doveva unire oltre ogni conflitto e guerra, e far muovere verso un riconoscimento reciproco di tutto ciò che è umano. Sotto lo strato unitario del mondo globale, omologante, con aspirazione cosmopolitica, dove spazio e tempo sono stati sostanzialmente aboliti, e i confini sono stati incrinati attraverso la rete virtuale che avvolge il mondo, si sono messe in movimento forze, Stati, nazioni, religioni, popoli, guerre, terrore, masse sterminate di migranti: la materialità del mondo contro la sua unità virtuale, qualcuno dice.

E poi il ritorno, in forme spesso tragicamente distorte, della politica in contrasto con la spoliticizzazione del mondo globale, il quale ha predicato: tutto economia, tutto finanza, tutto mercato, tutta libera circolazione, tutti diritti in espansione e riconosciuti (ma chi li tutela?); ma, sul fronte opposto, la difficoltà a offrire ai cittadini le ragioni dello stare insieme, a mantener viva la rappresentanza politica delle democrazie in uno scenario dove il potere appare sempre più lontano e talvolta ostile. C’è in giro tutto un movimento libero di persone e di cose che, sì, godono di questa libertà, ma, intanto, proprio nei continenti del benessere, si assiste a diseguaglianze crescenti, nuove povertà, solitudini, paure, disconoscimenti, deboli solidarietà. Stati e nazioni tornano a chiedere sovranità, in un mondo globale dove appaiono sempre più ambigue le forme del potere politico e della stessa democrazia politica. Che si vuole di più per capire le ragioni del caos? 

Come se il velo unitario, che tutto sembrava tenere insieme, si fosse squarciato in più punti, e fosse da più punti assediato. Si è aperto uno scenario nuovo, da pochi previsto, di assai difficile lettura. Si può sondare qualche punto di quel velo squarciato, sporgersi al suo interno, assistere al frenetico movimento di forze diverse che restituiscono l’immagine di un mondo nel caos. E il caos globale c’è, come si fa negarlo? Tentiamo un elenco di sicuro incompleto: la guerra globale del fondamentalismo islamico, vita-morte in un confronto estremo, di massa; migrazioni di popoli che fuggono da miseria, fame, guerre e premono alle frontiere dei continenti del benessere; i continenti del benessere che tendono, con lodevoli eccezioni, a rinchiudersi in se stessi, anche quelli educati alla civiltà del riconoscimento; la Gran Bretagna che esce dall’Unione europea unendo la maggioranza dell’elettorato nella difesa dei propri confini, e si direbbe di una propria identità; frontiere che tendono a chiudersi in molte parti d’Europa, che pure si vuole continente dei diritti dell’uomo; l’irrompere del fenomeno Trump negli Stati Uniti, che fa epoca, qualunque sarà l’esito del voto di novembre. Un fenomeno che cresce, con una inedita violenza di linguaggio, il nuovo linguaggio dell’intolleranza globale, il contraltare del cosmopolitismo di Obama, un contrasto emblematico, diretto, che divide una società. Infine, democrazie illiberali, stati autoritari che occupano spazi ormai ampi nel nuovo spazio del mondo, il mondo cosmopolita che si prefiggeva di ridurne la forza e l’infuenza. 

C‘è qualcosa che tiene insieme le tante forze, i tanti fatti che emergono? Forse, in un gioco drammatico di cause e di effetti, si agita un grande problema identitario, che prende le forme più diverse e opposte, senza relazioni tra loro: globalismo e desiderio di identità fino alla violenza più dissennata, due fenomeni che possono diventare uno la controfaccia dell’altro, uno che si rovescia sull’altro. La globalizzazione è un fenomeno complesso, a più strati, con effetti diversi nei diversi continenti: milioni di persone affamate, tra Cina, India, America latina e perfino zone dell’Africa sono entrati nel mercato, la fame nel mondo si è drasticamente ridotta. Nulla potrebbe farci tornare indietro dal libero spazio della rete, da una comunicazione di ognuno con tutti in tempo reale; ma, insieme, siamo spettatori delle contraddizioni che si vanno accumulando anche all’interno di questi campi di progresso, e afferriamo la straordinaria difficoltà di una risposta. 

Dove, la difficoltà? Nella lontananza, in parte largamente fondata e certo anche percepita, tra la problematica unità del mondo globale e le particolarità di tanti mondi in affanno. Ci sono ormai linguaggi lontani, e opposti tra loro, che muovono dalle diverse realtà, linguaggi tra loro incomunicabili. Il mondo globale, dove massima è la potenzialità del comunicare, sta diventando il luogo della difficoltà di comprendersi: una babele di lingue, di significati.
Quando si invoca la necessità della politica costituente è a tutte queste cose che ci si riferisce. E’ possibile che quella politica ritorni in campo? Ma dove sono i soggetti politici capaci di tanto? E come nascono le leadership, oggi francamente così deboli? Ci si lamenta della crisi delle classi dirigenti politiche, e diffuso è il sentimento di rigetto delle élite, ma le élite hanno bisogno di idee, di visioni, devono provocare eventi costituenti che non siano –ben s’intende- le guerre con le quali si finì con il vincere la crisi della prima globalizzazione dei mercati che si avviò all’inizio del Novecento. Ci vollero cinquanta anni per uscire da quella crisi. Difficile oggi fare previsioni, ma non è difficile pensare che i tempi saranno lunghi e carichi di contrasti. Lunghi, ma, per esser produttivi, essi devono essere riempiti di idee, di volontà, di sacrifici necessari, di capacità di far crescere una opinione pubblica o indifferente o con un sentimento di astio e rancore verso il potere politico. 

Bisogna puntare in alto, ricordando che, come è stato detto, se non si vuole l’impossibile nemmeno il possibile sarà realizzato.