Olanda, respinti i populisti. Scholten:
«L'accoglienza è nel nostro Dna»

Olanda, respinti i populisti. Scholten: «L'accoglienza è nel nostro Dna»
di Francesco Durante
Giovedì 16 Marzo 2017, 08:21
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Jaap Scholten (1963) è uno dei più stimati scrittori olandesi. Il suo ultimo libro «Comrade Baron» è stato un bestseller, ha vinto il prestigioso Libris History Prize, ed è già stato tradotto in Francia, Gran Bretagna, Ungheria e Romania, ma non ancora in Italia, dove peraltro Scholten è noto per essere uno degli autori del film «Against a perfect sky», dedicato a John Fante (scrittore da lui molto amato) e girato due anni fa in Abruzzo. La seguente conversazione a distanza è avvenuta ieri mentre Scholten si trovava alla Green Library dell'Università di Stanford, in California, impegnato nel lavoro di ricerca per il suo prossimo libro, che racconterà ciò che ha significato per l'Ungheria la dominazione ottomana, durata centocinquant'anni.

Già dai primi exit poll è emersa netta la sconfitta di Wilders. Risultato prevedibile?
«Ero curioso di scoprirlo. Avevo la fondata speranza che il PVV non vincesse: se fosse accaduto, sarebbero stati guai. I Paesi Bassi sono da sempre governati in virtù di un compromesso, di accordi tra forze diverse. La nostra politica è come una coppia di sposi di antica data: tra i partner non c'è molta passione, e ciascuno sa che le cose non possono mai andare proprio come uno solo di loro vorrebbe. È un tantino noioso, ma è il meglio che ci si possa augurare. Geert Wilders è assai diverso: dominato dalle passioni, non ha una visione realistica, pare un adolescente arrabbiato, non è persona da compromessi. Penso che proprio per questo abbia esercitato una certa attrazione. Ma non è che uno possa desiderare un adolescente arrabbiato, in compagnia di un branco di altri adolescenti arrabbiati, alla guida del proprio paese».
Sembra incredibile che un paese come l'Olanda possa esprimere anche un'opinione pubblica razzista. Perché un così brusco cambio di umore?
«Non credo che l'Olanda sia razzista. Penso che perfino molta parte dell'elettorato del PVV non lo sia. A lungo, però, i politici al governo hanno sottovalutato le frizioni che andavano crescendo verso la gente venuta da altre parti del mondo. Wilders ha riportato l'attenzione su un problema che è fonte di preoccupazione per molti. Tuttavia credo non sia abbastanza per poter parlare di razzismo. A noi olandesi piace fare affari con tutti, siamo gente cui piace andare al mare, e anzi quasi ci viviamo dentro. L'essere aperti a tutti è qualcosa che sta nel nostro Dna. No, non parlerei proprio di razzismo. Il vero problema è semmai la preoccupazione per l'Islam, e per l'estremismo islamico in particolare».
I Paesi Bassi sono uno degli stati fondatori dell'Unione Europea. Possibile immaginare un futuro fuori da questa cornice tradizionale?
«Posso immaginare una Ue ristretta ai soli membri fondatori. Per noi, piccolo paese, non è saggio starne fuori. Ma sarebbe un disastro per tutta l'Europa se l'Unione andasse in pezzi. Spero che i venti di protesta non siano troppo numerosi, e che dunque i Paesi Bassi non decidano di fare il benché minimo passo di allontanamento dalla Ue».
Le elezioni sono arrivate nel pieno della crisi diplomatica fra Paesi Bassi e Turchia. Quanto ha inciso sul risultato elettorale?
«Fermare Erdogan è stata una cosa buona. Che ministri turchi potessero far campagna elettorale in Olanda scortati dai loro servizi di sicurezza e non sotto il controllo del nostro governo sarebbe stato un errore, e questo a prescindere da ciò che si può pensare di Erdogan e delle sue ambizioni. Sappiamo tutti che la Turchia è il paese del mondo col maggior numero di giornalisti in galera. I nazisti presero il potere in Germania anche perché guardie naziste con tanto di uniforme potevano gestire la sicurezza al posto della polizia ufficiale. Consentire ai ministri turchi di entrare coi loro servizi armati sarebbe come abdicare alla nostra autonomia».
Al di là del verdetto delle urne, si direbbe che larga parte della popolazione si sia convinta che finora l'Olanda è stata troppo liberale su immigrazione e multiculturalismo.
«Sì, siamo stati un po' troppo aperti e tolleranti. Del resto, i paesi con una popolazione molto mista, finché sanno gestire i problemi e possono contare su buone leggi cui i cittadini si conformano, risultano quelli di maggior successo. La storia del mondo lo dimostra: influssi differenti portano idee nuove. I Paesi Bassi hanno prosperato negli ultimi 400 anni grazie all'influsso degli ebrei venuti da Spagna e Portogallo, e dei rifugiati protestanti venuti da Francia e Germania (tutti i miei antenati): una vera intellighenzia, un grande contributo. L'influsso dei turchi e dei marocchini giunti a partire dagli anni 50 per fare quei lavori che gli olandesi non volevano più fare è stato diverso. Hanno lavorato sodo, ma senza portare il valore aggiunto recato dagli ebrei e dagli ugonotti, e senza riuscire a integrarsi altrettanto rapidamente. Molti di loro restano degli estranei, e questo può accadere assai facilmente giacché la società olandese, per come la vedo io, è, sia pure in modo nascosto, una società di classe».