Israele assalta Rafah, l'offensiva finale contro Hamas è pronta. Usa: «Da noi nessun ok»

Teheran: «Possiamo colpire i centri nucleari del nemico»

Israele assalta Rafah, l'offensiva finale contro Hamas è pronta. Usa: «Da noi nessun ok»
di Lorenzo Vita
Venerdì 19 Aprile 2024, 00:37 - Ultimo agg. 13:00
5 Minuti di Lettura

Sembra un scambio ben studiato e trattato a lungo, ma che nessuna delle due parti coinvolte è disposta ad ammettere. Di mezzo, d’altronde, c’è il rischio di un ulteriore spargimento di sangue. La sostanza è che i militari di Israele sono pronti a far scattare l’operazione di terra nel cuore di Rafah, il rifugio di un milione e mezzo di profughi al sud della Striscia di Gaza. E il blitz pare essere pianificato in cambio di uno stop all’attacco su vasta scala contro l’Iran. Un congelamento o almeno una strategia di minore impatto che eviti l’escalation, anche alla luce della nuova minaccia di Teheran, pronta a contrattaccare con le armi nucleari. Gli Stati Uniti, che secondo le prime indiscrezioni fatte trapelare dai media egiziani, avrebbero dato il loro via libera alla nuova strategia, si affrettano a far sapere che non hanno concordato questo scambio con il governo di Netanyahu. Quello che da Washington ribadiscono è che l’obiettivo è quello di evitare il caos totale nel Medio Oriente. 

Gaza, raid di Israele nel campo profughi: 11 morti e numerosi feriti

LA BATTAGLIA

I preparativi per l’assalto all’ultima roccaforte di Hamas, in verità, sono in corso da settimane, se non mesi.

E di certo c’è che funzionari israeliani e statunitensi si sono scambiati continuamente informazioni su Rafah, delineando limiti e scenari per la battaglia che Tel Aviv considera decisiva. Segno che per Casa Bianca e Pentagono l’attacco a Rafah è solo questione di tempo. L’ultimo incontro (virtuale) è avvenuto ieri, e hanno partecipato il consigliere per la sicurezza nazionale Usa, Jake Sullivan, il ministro degli Affari strategici israeliano Ron Dermer e il presidente del Consiglio di sicurezza nazionale dello Stato ebraico, Tzachi Hanegbi. L’idea maturata in queste settimane di colloqui è quella di un’operazione «lenta e graduale», che prenda di mira specifici sobborghi una volta che siano stati evacuati i civili. Un modo per evitare quell’invasione devastante che potrebbe trasformarsi in un disastro umanitario senza precedenti, e su cui l’amministrazione Biden è stata categorica. L’Idf è pronta a far scattare l’operazione da un momento all’altro e aspetta solo che Netanyahu dia il via libera. Negli ultimi giorni, nonostante la “distrazione” provocata dall’Iran, i caccia israeliani hanno continuato a colpire nell’area di Rafah (l’ultimo raid ha fatto dieci morti, tutti della stessa famiglia). E secondo fonti del Guardian, ai confini della Striscia di Gaza sono già arrivati nuovi pezzi d’artiglieria, carri armati e veicoli blindati, mentre si iniziano a studiare anche i piani per mettere in sicurezza altre aree dell’exclave palestinese, a cominciare dai campi profughi del centro e del nord. Il governo, convinto che a Rafah ci siano 4 battaglioni di Hamas, i comandanti che non sono stati eliminati (tra cui il ricercato numero uno Yahya Sinwar), gli arsenali e i centri di comando, ha già acquistato oltre 40mila tende pronte a diventare l’ultimo rifugio per chi dovrà fuggire dagli scontri. A Rafah però ci sono quasi due milioni di persone intrappolate, tra residenti e profughi di altre parti della Striscia. E ci sono anche gli israeliani rapiti il 7 ottobre e purtroppo nessuno è in grado di dire quanti siano ancora vivi. E anche per questo gli Usa hanno chiesto da tempo agli israeliani di pensare a un’operazione limitata. Anche per rassicurare l’Egitto, che ha blindato da diversi mesi il confine in previsione di un esodo di massa dalla città.

IL PIANO

Netanyahu ha già chiarito che l’operazione a Rafah è necessaria. E non è un caso che Hamas stia riorganizzando in fretta e furia le difese, sfruttando anche il “ritiro” delle truppe israeliane da Khan Younis e da altre zone della Striscia. Quella di Rafah non è una semplice battaglia, ma una resa dei conti. Uno scontro di cui il governo israeliano ha approvato da tempo la data di inizio, anche se non l’ha voluta rivelare. Un giorno che potrebbe arrivare presto. Molti pensano che Netanyahu possa aspettare la fine della Pasqua ebraica, che quest’anno termina il 30 aprile. Ma con i negoziati con Hamas paralizzati, il Qatar che minaccia di abbandonare la mediazione e l’ombra della guerra con l’Iran, la situazione sul campo potrebbe richiedere un’accelerazione dei tempi. Israele non può permettersi troppi fronti aperti. E Bibi sa che può passare all’incasso con Joe Biden mettendolo davanti a una scelta: l’Iran o Rafah. Un bivio drammatico e decisivo, da cui passa il destino di Netanyahu, di Hamas e di milioni di persone. Anche perché gli ayatollah hanno fatto sapere di nuovo ieri che sono disposti ad alzare il tiro: «Abbiamo individuato la posizione dei centri nucleari di Israele e siamo pronti a distruggerli nel caso in cui lo Stato ebraico ci attacchi». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA