I rischi con Donald da solo al comando

di ​Andrea Margelletti
Sabato 25 Febbraio 2017, 09:15
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Mai come in questo periodo per gli avventurieri nei meandri della politica internazionale servirebbe una mappa. Servirebbe una cartina per delineare una rotta più o meno credibile tra i perigli del nuovo Presidente Usa, Trump. Perché, forse, mancano casi simili nella storia recente degli Stati Uniti in cui il Comandante in Capo sia stato così foriero di enigmi e dichiarazioni poco collegabili tra di loro tanto da far pensare alla mancanza di una reale linea politica della nuova Amministrazione. Neanche il Presidente attore prestato alla politica, Ronald Reagan, era stato così foriero di dubbi circa le reali intenzioni che muovevano i primi passi del suo Gabinetto. E, dunque, è arrivato Trump a stravolgere le regole e a mischiare le carte della razionalità politica.

Così, dopo i fiumi di inchiostro buttati per dipingere The Donald come il più filo-russo di tutti i filo-russi, arrivano le sue dichiarazioni sulla necessità da parte degli Stati Uniti di riprendere la corsa al riarmo nucleare. E allora, se c'è un tema da sempre all'apice della tensione nei rapporti Washington-Mosca è proprio quello dell'arma «strategica», che sembrava esser stato sopito dalla sottoscrizione degli ultimi accordi New Start. Con «The Donald» nulla si può dare per scontato. Ovviamente, però, è necessario andare anche più a fondo e chiedersi se realmente le uscite del Presidente sono frutto di improvvisazioni o fanno riferimento ad un quadro politico un po' più delineato. E, mettendo insieme alcuni pezzi del primo mese abbondante di Amministrazione, forse, un quadro un po' più concreto c'è. Le nomine di Trump, infatti, sono andate in una direzione netta. Quella di creare un asse molto stretto con due figure che avrebbero avuto, per ruolo, le mani libere rispetto al Congresso e all'establishment: Steve Bannon e Michael Flynn.

Il primo, consigliere politico, eminenza grigia della sua elezione e delle sue scelte «mediatiche». Il secondo, nominato come Consigliere per la Sicurezza Nazionale e, molto probabilmente, responsabile della postura presidenziale molto critica nei confronti del mondo dell'intelligence. Entrambe le figure non soggette alla conferma della nomina da parte del Senato ed entrambe presenti, le sole, al fianco del Presidente durante le prime azioni presidenziali, hanno fin da subito costituito l'inner circle di riferimento per Trump. Tutto potenzialmente nella norma se non fosse altro che da questo Gabinetto molto ristretto il Presiedente è passato direttamente all'azione, senza il filtro dei gangli dell'Amministrazione, percepiti da «The Donald» più come degli inutili ingranaggi burocratici che uno staff professionale a cui fare affidamento per dare sostanza alle proprie decisioni.

Con l'allontanamento di Flynn la solfa non sembra cambiata. Anzi. Bannon è rimasto all'orecchio del Presidente senza un controcanto che possa mettere in discussione le sue posizioni. Non che Flynn si sia mai dimostrato nello scarso mese di attività contrario a Bannon. Ma senza l'ex Generale il consigliere politico di Trump ha ancora più carta bianca nel dettare i tempi e il registro delle politiche presidenziali. E poco potranno fare le altre teste pensanti dell'Amministrazione. Il povero Tillerson, schiacciato dalle baruffe tra la diplomazia americana e il Presidente e dalla sua paura nei confronti dei media. Il Generale McMaster, stratega acutissimo che si è ritrovato a dover accettare l'ingrato compito di sostituire Flynn in un Consiglio di Sicurezza Nazionale nato zoppo in cui siederà per disposizione presidenziale anche Bannon (prima volta nella storia in cui un consigliere politico prende parte ad un organismo così strategico).

Il Generale Mattis, forse l'unico in grado per carisma e ruolo di tenere testa (si fa per dire) al Presidente e che in questo mese abbondante si è ritrovato insieme al Vice Presidente Pence a dover rassicurare alleati e Comunità Internazionale circa quello che realmente il Presidente voleva dire. Può darsi che anche in relazione alle ultime dichiarazioni sull'arsenale nucleare avremo dei ravvedimenti e delle spiegazioni. Rimane il fatto che l'Amministrazione degli Stati Uniti possa rimanere vittima di una gestione personalistica del potere pericolosa in cui le decisioni, quando dovranno essere prese realmente, saranno più frutto di una visione politica del santone Bannon che di una visione corale strategica. Speriamo di sbagliarci e che parleremo di Trump come del Presidente amministratore delegato prestato alla politica.
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