Orrore in Siria, il destino di Damasco al centro dello scacchiere globale

Orrore in Siria, il destino di Damasco al centro dello scacchiere globale
di Sara Menafra
Martedì 10 Aprile 2018, 10:21 - Ultimo agg. 10:32
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Si allontana la possibile tregua e aumenta il numero di attori direttamente o direttamente coinvolti nello scenario siriano, col rischio che il piccolo e vessato paese divenga l'oggetto di un conflitto «mondiale». È questa la preoccupazione dei servizi italiani - ma, ovviamente, anche di altri Paesi - che osservano con preoccupazione l'escalation di queste ore.
 


L'attacco chimico a Douma, che avrebbe causato 60 morti e più di 1000 feriti, seguito, ieri mattina, da un raid israeliano in una base governativa, la t-4, avvengono entrambi solo pochi giorni dopo l'incontro tenuto il 4 aprile scorso ad Ankara.

Un appuntamento che sembrava destinato a segnare un punto di svolta definitivo per il futuro del paese. Ad Ankara infatti, il leader turco Recep Erdogan, Vladimir Putin e Hassan Rohani avevano parlato della necessità di «rispettare l'integrità territoriale della Siria». Dunque, i tre Paesi che più hanno influenzato il destino di Damasco negli ultimi mesi sembravano essersi accordati per mantenere il paese unito, probabilmente sotto il controllo del presidente Bashar al Assad, garantendo semmai delle zone «controllate» per i ribelli sunniti.
 
La prova generale di questo schema era proprio quello che accadeva in quelle stesse ore nell'area di Douma. Con la mediazione di Mosca, i ribelli di Jaysh al Islam (fazione islamica in contatto con al Qaeda e supportata dall'Arabia saudita) che controllano la zona ad est di Damasco, avrebbero dovuto essere sgomberati e spostati verso il confine tra Siria e Turchia, in una zona controllata da storici alleati di Erdogan.

Lo spostamento si era però interrotto il 6 aprile, per le divisioni tra gli stessi gruppi ribelli. Il giorno dopo è arrivato il bombardamento chimico, con successivo rimpallo di responsabilità.

Lo schieramento sulla questione già fa capire come il fronte internazionale sia ora nuovamente, irrimediabilmente diviso. E, soprattutto, come l'idea di un accordo per l'«unità territoriale» della Siria, che di fatto la terrebbe nell'area di influenza russa e come pedina avanzata dell'asse sciita, potrebbe essere presto dimenticato.

Da tempo, del resto, molti soggetti internazionali guardavano con preoccupazione al lievitare di questo schieramento e alla prolungata indifferenza di Trump.

Ora, la Siria torna ad essere al centro dello scacchiere globale. Gli Stati Uniti accusano apertamente il regime di Bashar al Assad e il governo turco ha parlato di «forti sospetti» sulla responsabilità del regime siriano. Mosca frena, citando la mancanza di «evidenze» mentre dalla diplomazia di Teheran arriva la difesa più netta a proposito della passata distruzione di «tutte le armi chimiche» da parte di Damasco e dell'uso del bombardamento come «scusa per un'azione militare contro il popolo siriano».

Ma molti altri protagonisti entrano o entreranno in campo nelle prossime ore. Emmanuel Macron spinge per un'azione congiunta, la leader britannica Theresa May sostiene che anche la Russia «dovrà rendere conto» dei fatti di Douma se il governo siriano sarà «riconosciuto responsabile».

In queste ore la reazione più probabile, anche dagli analisti italiani, viene considerata una prova di forza americana.
Ma subito dopo, oltre alla Russia, torneranno in campo la Turchia e probabilmente l'Egitto, il cui presidente Abdel Fattah al Sisi, finora è stato a guardare in attesa delle elezioni. Appena stravinte.

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