«Non ho nemmeno i soldi per portarla in taxi all'ospedale» aveva detto disperato, parlando con gli amici. La solennità del Ramadan, e l'impossibilità di provvedere ai pasti tradizionali che mettono fine al digiuno quotidiano, hanno accresciuto il suo senso di desolazione.
Del tutto sconosciuto fino ad oggi, Fathi rappresenta in realtà un intero strato sociale: quello dei suoi coetanei, il 60 per cento dei quali sono disoccupati cronici e con scarsissime probabilità di uscire dall'indigenza. Suo fratello è fra i dimostranti che il 14 maggio sono stati feriti in modo grave dal fuoco israeliano sul confine ed è ora ricoverato in Egitto, accudito dal padre. Ad affondare definitivamente la famiglia, ha detto il nonno - Said Harb - è stata la decisione dell'Autorità nazionale palestinese di non pagare più gli stipendi agli impiegati di Gaza. Con quella entrata modesta il padre di Harb cercava di mantenere dieci figli, stipati in un appartamento semivuoto di due stanze e mezzo nel rione di Sheikh Radwan.
Fathi Harb ha cercato invano di trovare lavoro come facchino nei tunnel di contrabbando di sigarette al confine con l'Egitto. Sperava di lavorare per 30-40 shekel (8-10 euro) al giorno. Ma avrebbe dovuto investire la metà della somma nei trasporti pubblici.
Un portavoce della polizia di Gaza ha sollecitato a non generalizzare la tragedia.
La molla del tentato suicidio, ha detto, sarebbe piuttosto da ricercare in problemi di carattere familiare.